BelfagorUova e fischi per il non lavoro

Viene voglia di ripetere con Hemingway (e con John Donne): non ti chiedere per chi suona la campana, suona per te. Insomma la sconfitta c'è stata. Le elezioni finite nel vicolo cieco della division...

Viene voglia di ripetere con Hemingway (e con John Donne): non ti chiedere per chi suona la campana, suona per te. Insomma la sconfitta c’è stata. Le elezioni finite nel vicolo cieco della divisione insanabile tra Pd e M5S. Nessuno dei due ha fatto lo sforzo necessario a rendere possibile un accordo. Bersani è rimasto al suo posto e non ha neppure provato a sopprimere unilateralmente i rimborsi elettorali. I 5 Stelle non hanno fatto nomi per la presidenza del consiglio e hanno respinto il Pd nel campo della destra. Poi sono venuti gli errori commessi nel corso dell’elezione presidenziale. Il Pd è riuscito a non votare neppure i sui candidati e il M5S ha usato Rodotà come un oggetto contundente per spaccare il Pd. Infine è arrivato l’armistizio nel quale i militanti puri e duri hanno visto una resa senza condizioni.

A chi, a che cosa servono ora gli scontri di Torino? Che cosa hanno da proporre come prospettiva politica gli autonomi? Il rovesciamento del sistema? E che cosa può offrire come risultato raggiunto, stavo per dire come trofeo conquistato, il Pd? Forse il travaglio con il quale una parte dei quadri si è piegata alla logica del compromesso? Non ci sono vincitori possibili in questo gioco al massacro. I tempi di una eventuale conversione strategica saranno lunghi e alla festa del non lavoro gli impazienti, gli esasperati, gli indignati sono legione. E allora meglio una bella scazzottata sotto un cielo grigio di pioggia che l’avvio di una riflessione collettiva.

Eppure senza un lento lavoro di chiarimento, di ricucitura dove possibile e di decantazione dove necessario non c’è speranza di uscire dal vicolo cieco. La vista annebbiata dall’ira non aiuta. E neppure il semplice rimpianto per gli errori commessi. Per poter guardare avanti bisogna prima guardarsi dentro, e fare il conto delle manchevolezze. E poi nulla guarisce meglio dell’azione dalle paturnie identitarie. Darsi degli obiettivi, costruire rapporti, intrecciare legami e procedere con decisione. Darsi degli obiettivi, darsi delle scadenze. E vedere se qualcosa cambia. Oppure rivedere il progetto. Non c’è altro modo. Offrire al mondo lo spettacolo della rabbia impotente e del pentimento rituale è dannoso, oltre che inutile. Per questo il Primo maggio 2013 a Torino è stato un giorno triste.

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