L’Ossservatore cariocaBrasile: il biglietto del bus come gli alberi turchi?

Quasi duecento arresti, manganellate e soprattutto proiettili di gomma anche contro i giornalisti. Un fotografo è in ospedale e rischia di perdere un occhio e sette giornalisti, tra cui Giuliana Va...

Quasi duecento arresti, manganellate e soprattutto proiettili di gomma anche contro i giornalisti. Un fotografo è in ospedale e rischia di perdere un occhio e sette giornalisti, tra cui Giuliana Vallone della della Folha de S.Paulo sono rimasti feriti ieri a San Paolo.

(Qui sopra Giuliana Vallone della Folha de S.Paulo (foto di Diego Zanchetta, Estadao Conteudo)

E’ in momenti come questo, quando da almeno una settimana in grandi città come Rio, San Paolo, Porto Alegre, la popolazione protesta per l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus, e viene massacrata dalla polizia, che si capisce come in Brasile ci sia un grosso problema alla base delle fondamenta democratiche.

Ora la questione si ripresenta ma in maniera ancora più grave: le proteste di questi giorni sono dovute a un bubbone che prima o poi doveva esplodere. Il costo della vita e dei beni fondamentali per una esistenza dignitosa. Non solo delle classi più povere, ma ormai anche della classe media.

Un mese e mezzo fa, in un supermercato di Rio, mi sono a lungo intrattenuto con una anziana signora, pensionata a 800 reais al mese (350 Euro), la quale spingeva, a fatica, un carrello mezzo vuoto. Eravamo in uno dei supermercati più popolari, il Mundial, e si parlava di prezzi: allucinanti. Burro a 2 euro, latte (1 litro) a 1 euro, olio di semi a 2 euro e mezzo. Con un dettaglio: il Brasile è tra i primi due produttori al mondo di soia, vacche, e materie prime alimentari.
Come può essere possibile che il posto che ha più vacche che cristiani (210 milioni di mucche contro 195 milioni di persone) metta sul mercato un litro di latte a quel prezzo? Ci deve essere qualcosa che non va. I casi sono due: o qualcuno ruba, o qualcuno ruba. Gli economisti la risolvono spiegando che ci sono troppe tasse indirette. Motivo? La crescita che doveva essere “cinese” ormai sembra un mito del passato, l’inflazione è gonfiata e bisogna tener su il Pil come fosse un vecchio DC3 che sta precipitando.
Ma fin lì, come la signora del Mundial, la gente si metteva mestamente in fila e pagava il litro di latte in tre comode rate.
30 centesimi di Real al mese. Le banche brasiliane sono tra le più solide e ricche al mondo proprio grazie a questo trucchetto.

Ma quando la gente delle grandi e medie città si è vista aumentare ancora una volta il prezzo dell’autobus non ci ha visto più. L’autobus in Brasile è più importante del pane. Senza pane puoi stare, senza autobus sei fottuto, non ti sposti dalla tua periferia che dista due ore di strada dal posto di lavoro, come se uno vivesse a Buccinasco e lavorasse a Nervi. E il governo reagisce con una violenza inaudita.

Gli scontri più violenti sono avvenuti ieri a San Paolo: 192 arresti e decine di manifestanti feriti. La polizia ha sparato proiettili di gomma a tutto spiano, anche contro un gruppo di giornalisti che sono dovuti fuggire. Molti di loro sono feriti e in ospedale. Un sondaggio di Datafolha dice che il 55% della popolazione è a favore delle proteste, ma la Folha de S.Paulo ci tiene a precisare che il 78% condanna la violenza: non si capisce però di chi. Mi auguro della polizia, ma sicuramente ho capito male il sondaggio…

L’altro ieri, com tanto del solito Pelé e pure i nostri calciatori in trasferta, a Rio hanno festeggiato il conto alla rovescia iniziato: – 365 giorni al fischio di inizio dei Mondiali. Il governo di Dilma Roussef dovrebbe cominciare a capire che esiste un vero problema di ordine pubblico, ma dalla parte loro, nelle forze dell’ordine. Tranne che hanno talmente da fare con la criminalità, violenza minorile, traffico di droga e di armi, che è facile nascondervisi dietro, e non risolvere mai il vero cancro: l’impunità di chi dovrebbe rappresentare la legge. Il cosidetto boom brasiliamo ha intensificato gli indici di violenza nelle città, non l’ha diminuito.

Le città brasiliane sono oggi più pericolose di un tempo, perché la nuova “ricchezza” del Paese non significa ricchezza dei singoli, ma anzi, da parte di milioni di diseredati che tutt’ora crescono ai bordi fangosi del lusso, significa frustrazione sociale.
Dieci anni di Lula e quasi quattro di Dilma non hanno sostanzialmente mutato i tre problemi fondamentali del Paese: accesso all’educazione pubblica primaria e di qualità; accesso alla salute, e accesso a un uso equilibrato della giustizia.
Joaquim Barbosa, il presidente nero della Corte Suprema, faceva notare recentemente che in parlamento siedono condannati per reati di corruzione che legiferano contro i giudici che li hanno condannati. Se ci fosse in Brasile un John Grisham avrebbe di chi scrivere.
Ma non c’è, per ora.

Anni fa un esperto di politiche dalla sicurezza, professore all’università di Rio, Inacio Cano, mi disse che la dittatura non era finita. Spiegò: quando hai gente con la divisa che non sarà mai punita per gli abusi che commette, è chiaro che non siamo in democrazia. O, come amava formulare quel genio di Nelson Rodrigues, delle due l’una: la democrazia esiste, ma per una piccola parte dei brasiliani. Quelli che stanno correndo sul lungomare di Ipanema in questo momento e che in autobus non ci vanno da trent’anni.

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