«C’è un deterioramento della qualità dei crediti, soprattutto tra le pmi; il settore bancario non è più ricco come un tempo, né gode più di protezioni pubbliche [..]». È un passaggio dell’intervista che Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, ha rilasciato oggi al Giornale. Se sui primi due punti è difficile non essere d’accordo con il numero uno dell’associazione bancaria, il terzo lascia alquanto perplessi. Le dichiarazioni di Patuelli arrivano infatti a pochi giorni dal decreto del “fare”, che prevede l’aumento della dotazione del fondo centrale di garanzia per le Pmi, che prevede «la revisione dei criteri di accesso per il rilascio della garanzia che allargherà notevolmente la platea delle imprese che potranno utilizzare il Fondo», rifinanziato in modo da attivare credito aggiuntivo per 50 miliardi, recita la nota licenziata dal consiglio dei ministri di due giorni fa. A questi si aggiungono 5 miliardi a tasso agevolato per l’acquisto di macchinari. Misure necessarie tanto per il governatore di Palazzo Koch, Ignazio Visco, alle quali ha dedicato un passaggio delle sue Considerazioni finali, quanto per il titolare dell’Economia, Fabrizio Saccomanni.
Invertire la rotta dando nuovo credito senza limitarsi alla gestione dell’esistente è necessario, ma l’ampliamento tanto della dimensione quanto della copertura, fino all’80% dell’importo finanziato, non deve diventare (ammesso non lo sia già) un alibi per gli istituti di credito. Per un motivo molto semplice: le banche sono imprese che per stare sul mercato devono assumersi dei rischi. Ridurli o eliminarli facendoli ricadere sulle esili spalle della collettività non è leale nei confronti dei cittadini consumatori.