Il maleficio del dubbioCaso Cucchi, ma dov’è la critica di sistema?

Esisteva un tempo “la sinistra” e la critica che la sinistra rivolgeva alla giustizia in Italia. Prima di Berlusconi, del giustizialismo dei “compagni”, dei girotondini, di Di Pietro-Travaglio-Sant...

Esisteva un tempo “la sinistra” e la critica che la sinistra rivolgeva alla giustizia in Italia. Prima di Berlusconi, del giustizialismo dei “compagni”, dei girotondini, di Di Pietro-Travaglio-Santoro, prima dei processi in televisione e degli applausi alle manette. Prima delle toghe rosse, di Craxi, delle monetine, di Tangentopoli e della condanna (mediatica) alle persone ancora indagate. Prima del “le sentenza non si commentano” e dei commenti a ogni singola sentenza.

Quella critica non era strabica, non era faziosa, non andava a corrente alternata a seconda del colore politico del processato. Era una critica di sistema e, in mezzo alle troppe assurdità che troppo a lungo “la sinistra” andava predicando, si distingueva per ragionevolezza.

Lo Stato borghese e capitalista – si perdonino i termini veteromarxisti – ha le sue regole di funzionamento. In base a queste regole c’è chi prospera e chi soffre. Guarda a caso le prigioni sono sovraffollate per colpa dei secondi, mentre i primi si contendono spesso le prime pagine dei giornali ma raramente una cella. Senza voler scadere nel determinismo sociale, è ampiamente dimostrabile che il crimine è più diffuso tra chi più patisce la povertà, il disagio sociale, l’esclusione.

Non sono storie molto interessanti. Piccoli furti, spaccio o poco più. I casi in cui è scorso del sangue sono un’esigua minoranza (anche se ovviamente sono quelli che fanno più rumore sui media). Nei confronti di queste storie lo Stato mostra molta meno attenzione che verso un top manager che ha truffato migliaia di persone per milioni di euro, o del medico che ha impiantato protesi inutili pur di ingrassare i rimborsi. Spesso, purtroppo, lo dimostra in diversi modi: nella maggiori libertà che alcuni (si spera pochi) rappresentanti delle forze dell’ordine sentono di potersi prendere coi detenuti; nella scarsa attenzione che l’avvocato d’ufficio (malpagato) presta alla causa; nella facilità con cui il pm chiede, e spesso il giudice concede, la misura cautelare della detenzione in carcere anche per reati poco gravi.

La storia di Stefano Cucchi mi ha riportato alla mente tutto questo. La sua morte, e la recente sentenza di primo grado, sono la punta visibile di un Iceberg immenso, dove clandestini, tossici, “miserabili” di ogni sorta e genere vengono trattati dallo Stato con metodi decisamente diversi rispetto quelli riservati alle “persone per bene”, che magari hanno commesso crimini ben più gravi. Dovrebbe essere compito di tutte le forze politiche, ma in particolare di quella mitologica “sinistra” che degli ultimi dovrebbe essere paladina, portare l’attenzione su i veri problemi della giustizia italiana. Che sono soprattutto questi – oltre alla macroscopica questione del come lo Stato non sia imparziale quando deve giudicare se stesso. Non certo Ruby&Berlusconi o qualche altro singolo caso, per quanto importante, che fa vendere copie ai giornali di cronaca.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club