BelfagorCome la politica parla al paese

Ma quando la smetteranno? Quando la smetteranno di credere - o di far finta di credere o di voler far credere - che le dispute tra cordate di potere nel Pd abbiano qualcosa a che vedere con i probl...

Ma quando la smetteranno? Quando la smetteranno di credere – o di far finta di credere o di voler far credere – che le dispute tra cordate di potere nel Pd abbiano qualcosa a che vedere con i problemi della società italiana in questo momento? Il governo deve scegliere tra Imu e aumento dell’Iva. Se non sceglie viene al pettine con maggior forza il nodo della spesa pubblica. C’era poi una legge elettorale da cambiare. E’ stata legata a una ambiziosa riforma generale, come dire: è stata rinviata…

Non di questo si parla nei documenti che alimentano la guerra all’interno del Pd, ma di altro.

Di cosa discutono allora i maggiorenti del Pd e con loro tutti gli altri comprimari? Di una cosa che appartiene in pieno all’universo della politica politicante e che non c’entra nulla con i messaggi capaci di parlare al paese: il posizionamento. Come ti poni tu, come mi pongo io, come si pone quell’altro rispetto agli equilibri di potere nel partito? Ossia, quale equilibrio garantisce meglio i miei interessi? L’interesse alla rielezione, prima di tutto, si capisce.

Ci sono molti modi per perdere la bussola, ma questo è sicuramente uno dei più tristi. Di fatto la bussola c’è ancora ma è come se non ci fosse. Non serve a orientarsi nel mondo, serve a muoversi nel labirinto o nella giungla di una politica che parla ormai solo a se stessa. Quando ritiene di doversi spiegare nelle interviste o nei documenti. Perché poi, sorpresa delle sorprese, questa politica parla eccome, e parla con i fatti.

Al di là delle dichiarazioni, che spettacolo ha offerto al paese Pier Luigi Bersani nei quaranta giorni del suo preincarico senza fine? Lo si trova splendidamente riassunto nel blog di Corradino Mineo. Il post ha per titolo “Scusate il ritardo! Il caffè di sabato 15 giugno” ed è uscito oggi, appunto. Torna sulla scena Pier Luigi Bersani e con lui si torna alla casella di partenza. Si parte di qui.

Torniamoci [alla casella di partenza] – scrive Mineo. E proviamo a dialogare con questo leader straordinario e tragico che aveva promesso di piantare i piedi del Pd nella società civile, di chiudere (parole sue) venti anni di subalternità a Berlusconi, e poi si è fatto travolgere dal senso di “responsabilità”, dalla tela di Napolitano – Penelope, dalla paura di aver portato i “pares”, di cui a ragione si sentiva solo un “primus”, verso una storica sconfitta. Il Pd – dice Bersani- ha perso a febbraio “un milione e 700mila voti. Un milione erano gli arrabbiati, 700mila pensavano che avremmo vinto lo stesso”. Tace degli errori della campagna elettorale, ma rivendica con orgoglio il tentativo di insistere, dopo la mezza sconfitta o mezza vittoria, sull’ipotesi del governo di cambiamento, a guida Bersani, aprendo ai 5 Stelle. “Dopo il voto tentai di parlare con Grillo – sottolinea – ma non è stato possibile”. Tace, Bersani, di quel pre incarico durato una quaresima. Senza il coraggio di dire a Napolitano: “insomma o mi fai tentare sul serio, o fai tu, se sei capace”. Non dice se qualcuno (D’Alema) gli avesse davvero consigliato di fare un passo indietro, e tentare il “cambiamento” con un altro nome. Quello di Rodotà, per esempio. Molte cose non spiega l’ex segretario, ma ci tiene a dare la sua versione delle vicende (tragiche) che hanno portato al secondo mandato di Napolitano e al governo delle larghe intese.

E qui si vede come sia rimasto impigliato in un’ideologia d’altri tempi, in un linguaggio che usa parole ormai inutili, incapaci di interpretare il reale. “L’elezione del capo dello stato implica la ricerca di una soluzione il più possibile condivisa”. Condivisa con chi? Con il PDL? E no, caro Pierluigi, il Presidente della Repubblica rappresenta – lo hai detto – l’unità della nazione. Cioè, tornando a bomba, la grande maggioranza di italiane e italiani che non ne poteva più della seconda repubblica. Per capirci, gli elettori del Pd, del 5 stelle, persino di lista Civica che anch’essa, a suo modo, postulava una svolta. Non una scelta condivisa (come voleva Napolitano) da Pd e PDL, quasi fossero ancora, dopo 40 anni, quel PCI e quella Dc, signori ciascuno del suo campo, al tempo della guerra fredda. Esponendo i tuoi candidati al veto di Berlusconi, hai mostrato, caro Bersani, di concepire la continuità dello Stato come una cupola istituzionale immutabile nel tempo, che, al massimo, può lasciare al governo piccoli spazi di pragmatico cambiamento.

“Tutti mi chiedono chi fossero i 101 (che hanno affondato Prodi), rispondo: parliamo prima dei 200 per (no, Pierluigi, contro) Marini”. Beh, io sono stato uno dei 200, e Civati e Tocci e persino la Moretti, che se ben ricordo era portavoce del segretario al tempo delle primarie. “Non è così che si sta in un partito – rimprovera Bersani – Vorrei un partito in cui si dialoga con la base su facebook su twitter ma si ha il coraggio di seguire e difendere le scelte collettive”. Collettive con chi? Qualcuno aveva affidato al segretario il mandato di buttare alle ortiche “il cambiamento” e di far scegliere a Berlusconi, sia pure in casa nostra, l’uomo che simboleggia l’unità della Nazione? Perché non proporre Rodotà, prima che lo facesse Grillo? E perché l’elezione di Marini, con i voti del PDL e non quelli a 5 Stelle, avrebbe dovuto consentire poi un governo con i voti dei grillini e senza quelli dei berluscones? Forse perché Marini è comunque un ex democristiano (dunque un “moderato”) e Bersani un post comunista (dunque per il “cambiamento”, e le due “anime” possono convivere e spartirsi Quirinale e Palazzo Chigi? Ancora un tuffo negli anni 70. Incomprensibile. Come incomprensibile mi parve la rinuncia di Bersani alla replica, dopo un confronto drammatico tra i grandi elettori che lo aveva messo in minoranza. Assurda la pretesa di imporre il voto, dopo che tanti avevano abbandonato la sala. Non si poteva attendere qualche ora o qualche giorno? Persino lasciare che l’ipotesi Marini “maturasse” fino al quarto voto, quando sarebbe bastata la maggioranza del 50 più 1 per cento?

Invece, tu Bersani, ti sei riunito con qualcuno (con chi, di grazia?) e dopo lunga attesa hai proposto Prodi. E’ vero, nel farlo, hai accennato alla possibilità di ricorrere al voto segreto. Ma non ci hai detto chi fosse l’altro candidato in alternativa (D’Alema?). Hai sentito l’applauso al nome di Prodi (per me significava: basta trattare con Berlusconi) e hai lasciato che Zanda, si limitasse a chiedere un voto per alzata di mani. Una mano in alto non si nega al fondatore del Pd, ma 101 poi hanno tradito. E tu non vuoi sapere chi siano perché sai bene come il gruppo dirigente fosse diviso. Ecco la differenza. Su Marini, c’era una parvenza di unità tra chi tira le fila, la base doveva obbedire. Su Prodi no, e i traditori erano perciò nel loro diritto.

Basta. Le prediche lunghe vengono a noia. Spero solo che il ritorno dello smacchiatore serva a riaprire il dibattito nel Pd. Che genere di partito, che stile di direzione, quale responsabilità verso iscritti ed elettori vogliamo?

Ecco come il Pd attraverso Bersani ha parlato al paese. Non serve rivolgersi a Grillo per questo. Corradino Mineo, da bravo giornalista qual è, ha capito benissimo. E poi vorreste che qualcuno si appassionasse ai vostri documenti, o alle vostre beghe… Ma fateci il piacere, avrebbe detto Totò. Prima imparate a stare al mondo. Al mondo: non nel partito che scambiate per il mondo.

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