Secondo un progetto avviato, ma non ancora ufficializzato, per l’Expo di Milano 2015 lavoreranno anche 2 mila carcerati considerati “socialmente non pericolosi”. Dovrebbero assecondarsi sei squadre di 345 detenuti, una per ogni mese dell’Expo. Da quanto si apprende dalle fonti di stampa “non è ancora chiaro se ci sarà una remunerazione”. Stante che in base all’ordinamento carcerario «il lavoro non ha carattere afflittivo ed è remunerato» (in misura non inferiore ai due terzi delle tariffe sindacali), non dovrebbe esserci alcuna questione.
Ma, al di là della legge, pagare i detenuti per il lavoro che svolgono è necessario per almeno due ordini di motivi. In primo luogo “sociali”: una giusta retribuzione serve a evitare che i carcerati vengano utilizzati per abbassare i costi del lavoro, mettendo in pratica una concorrenza sleale e una corsa al ribasso dei salari nei confronti dei lavoratori. Nel caso dell’Expo la retribuzione dovrebbe arrivare al 100% delle tariffe sindacali, proprio per questo motivo.
In secondo luogo per motivi “di giustizia”. Non si può infatti sfruttare la situazione di debolezza oggettiva dei detenuti, che pur di uscire di prigione anche solo poche ore al giorno, sarebbero disposti a lavorare gratis. Non si tratterebbe di volontariato ma di ricatto dello Stato.
Sarebbe anche incoerente con l’intenzione di reinserire queste persone nel tessuto sociale, anche tenuto conto che molto spesso i detenuti hanno accumulato un debito economico nei confronti dello Stato: pene pecuniarie, spese processuali, spese di mantenimento (vitto e alloggio). A meno che non venga condonato – se sussiste uno stato di grave indigenza e il detenuto ha mantenuto una buona condotta durante la detenzione – questo debito deve essere saldato.
Permettere ai detenuti di restituire questi soldi col proprio lavoro è quanto di più efficace si possa fare per il loro recupero – il che, se siamo interessati alla riduzione dei tassi di recidiva, e quindi di criminalità, dovrebbe essere prioritario – e per il loro reinserimento nel tessuto familiare e sociale. Nessuno si faccia prendere dalla tentazione vendicativa dei “lavori forzati” o da quella della più odiosa speculazione.