Oggi sul Corriere appare una lunga replica di Giorgio Luca Bruno, amministratore della Mtp Spa, la scatola in testa alla catena di controllo di Pirelli, all’articolo di ieri firmato da Salvatore Bragantini. Bruno, a cui spetta la difesa d’ufficio, paragona i presunti patti occulti non comunicati al mercato tra Tronchetti e la famiglia Malacalza al dossieraggio Telecom, ricordando le parole di un giudice, Luigi Napoleone, che liquidò la vicenda come «suggestione collettiva». Aggiungendo: «Lo schema non pare tanto diverso: si scrive una cosa all’infinito per trasformare ciò che non esiste in una verità». Se la verifica dei presunti accordi segreti spetta a Consob, che sta già indagando sulla vicenda, il vero problema è che Tronchetti Provera governa un’azienda con soldi che sembra non avere, ma grazie all’aiuto di banche “di sistema” che giustamente pretenderanno ritorni adeguati al salvagente lanciato nei giorni scorsi.
L’accordo che prevede l’ingresso in Camfin di Clessidra, Unicredit e Intesa Sanpaolo via Opa e la successiva semplificazione societaria serve soltanto a prendere quattro anni di tempo in attesa di compratori. Sarebbe utile che Tronchetti Provera, a cui comunque va riconosciuta la capacità di aver traghettato la società – di cui ha una profonda conoscenza dal punto di vista industriale – nel segmento di alta gamma, spiegasse se ha i soldi o meno per fare l’azionista, visto che come top manager i numeri sono dalla sua. E visto che, sempre al Corriere, di cui Pirelli è peraltro azionista, il diretto interessato ha detto che il suo obiettivo è «far crescere il gruppo: è questo quello che mi piace e che continuerò a fare. Almeno fino a quando il progetto sarà completato. Dopo, e l’ho detto in assemblea, guarderò dall’esterno la Pirelli volare». Perché dunque ostinarsi a fare il padrone, rischiando una situazione che, escludendo la zavorra del debito, assomiglia molto a Telco, holding che controlla Telecom dove tocca distribuire lauti dividendi invece di investire nello sviluppo industriale della società?
La lettera di Giorgio Luca Bruno uscita oggi sul Corriere:
Caro Direttore,
in principio furono le intercettazioni, poi ci fu altro, ora è la volta del «patto occulto». Ne scriveva ieri Salvatore Bragantini che, guardandosi bene dal riportare la smentita ufficiale della società, rilanciava la possibile esistenza di presunti accordi tra le parti, siglati e non dichiarati, in occasione del riassetto Camfin.
Nel caso Telecom, dopo mesi di articoli e paginate, emerse che delle intercettazioni non c’era traccia, tanto che un pubblico ministero milanese arrivò a parlare di «suggestione collettiva». Ora lo schema non pare tanto diverso: si scrive una cosa all’infinito per trasformare ciò che non esiste in una verità. L’importante è mettere in gioco la pallina avvelenata, poi il flipper mediatico fa il resto attraverso un meccanismo di sponde e di rimbalzi. Come già detto, ben vengano gli accertamenti della Consob che certo farà chiarezza su tutta la vicenda, indiscrezioni giornalistiche incluse. E veniamo al resto. Il 17 agosto scorso, dopo appena tre giorni dalle prime fughe di notizie sulle tensioni con i soci genovesi, il dottor Bragantini ebbe subito parole definitive sulla vicenda: «In un sistema capitalistico gli argomenti dei Malacalza appaiono prevalenti». Sulla gestione però, dovendo constatare i buoni risultati della Pirelli, scrisse: «…Tronchetti ha accorciato una catena di scatole cinesi prima interminabile e riportato Pirelli, un grande marchio italiano, agli antichi splendori». Che in virtù di questi risultati, e non per fantomatici salvataggi, Clessidra, Intesa e Unicredit abbiano deciso di investire nel progetto industriale di Tronchetti, pare adesso, per lo stesso Bragantini, un’ipotesi da non poter considerare. La considerano invece i tanti investitori istituzionali esteri che, certamente non per sostenere logiche o operazioni di sistema, negli ultimi anni sono entrati nel capitale di Pirelli e che oggi rappresentano ben il 34% dell’azionariato complessivo della società. Non ce ne vorrà il dottor Bragantini se non consideriamo il punto di vista del mercato meno autorevole del Suo. E veniamo ora al «patto occulto». Che i Malacalza abbiano reimpiegato i proventi della cessione Camfin e Gpi per acquistare azioni Pirelli da Allianz e Fonsai è decisione solo loro. L’unico ruolo svolto dal dottor Tronchetti è stato quello di gestire, quale Presidente del Patto Pirelli, il processo di prestazione del consenso allo svincolo delle azioni Pirelli dei pattisti Allianz e Fonsai, mediante la modifica apportata allo stesso Patto, con ciò venendo incontro all’esigenza di alleggerimento della posizione delle società assicurative che, in più riprese, da molti mesi, avevano dichiarato il proprio intento di disporre della propria partecipazione in Pirelli, e che aveva del resto indotto, in sede dell’ultimo rinnovo del Patto, a fissare un termine breve di un anno contro i tre precedentemente stabiliti. Ancora più incredibile è il sospetto che con i Malacalza si siano presi accordi occulti per garantire anche a loro la valorizzazione su Pirelli cui, a termine, puntano – insieme a Tronchetti – Clessidra, Intesa e Unicredit. Una lettura della vicenda che evidentemente non tiene conto di quasi un anno di aspre contese sia negli organi delle società sia in Tribunali ordinari e arbitrali, cosa che rende del tutto inverosimile che le parti abbiano voluto continuare la relazione proprio in sede di separazione definitiva.
Per quanto riguarda poi la struttura dell’operazione di separazione delle partecipazioni di Tronchetti e Malacalza, in Camfin e Gpi, e dell’ingresso dei nuovi partner, certamente, nella prima fase, lo schema si presenta complesso. Come del resto complessa era la questione da risolvere e le esigenze dei vari soggetti coinvolti nella trattativa. A tendere però, se l’opa andra a buon fine, ci sarà la fusione della newco con Camfin e anche la razionalizzazione delle società riconducibili a Mtp spa. Al termine di questo percorso, sopra Pirelli ci sarà solamente una società, la nuova Camfin, non quotata e con in pancia il 26% di Pirelli, partecipata da Clessidra, le banche e Mtp con al fianco altri importanti soci privati. Chiudiamo con un’ultima annotazione sul management Pirelli. Se è legittimo dire che una società dovrebbe separare le figure di presidente e Ceo – pur essendo presente in Pirelli un «lead independent director» che, secondo gli analisti di governance, annulla la «criticità» di tale doppio ruolo – lo è meno che un commentatore si spinga ad indicare, seppur tra le righe, chi dovrebbe esserne l’amministratore delegato arrivando al punto di suggerire di «richiamare in Pirelli qualcuno dei tanti dirigenti che negli anni scorsi se ne andarono». Soprattutto tenuto conto che uno tra questi, stando a quanto scritto anche di recente da alcune testate, sarebbe stato in più occasioni avvicinato dalla famiglia Malacalza durante le fasi più aspre del contenzioso tra i soci. Non ci risulta che Bragantini sia mai venuto in Pirelli a parlare e a conoscere gli attuali manager, né che lo abbia fatto in passato con chi oggi non lavora più qui. Non ha quindi elementi fattuali per giudicare le capacità o le incapacità delle persone. Come detto non abbiamo mai avuto il piacere di ospitarlo in azienda. Saremmo molto lieti ci venisse a trovare presto.
Giorgio Luca Bruno