CineteatroraLa fiaba di Hamelin e il ricatto del linguaggio

Più volte le tessere di una fiaba si svelano per una crudeltà inesorabile che travolge i discorsi sulla realtà, i rapporti di forza tra verità e fantasia, le dissertazioni sulla necessità o meno di...

Più volte le tessere di una fiaba si svelano per una crudeltà inesorabile che travolge i discorsi sulla realtà, i rapporti di forza tra verità e fantasia, le dissertazioni sulla necessità o meno di raccontare storie per una versione massimamente definitiva. In questa stessa tela l’opinione del teatro gioca il ruolo favorevole di apripista con una platea interrogata e coinvolta, o semplicemente mossa a riflessioni che sul linguaggio fondano la propria pertinenza.
Lo spunto dalla cronaca ne facilita il compito, soprattutto se i fatti rilanciano l’occasione di individuare nel tribunale scenico un colpevole e una vittima, un missionario della giustizia e una schiera di corrotti che alla fine lo piegano alla medesima condizione di lordura e vigliaccheria. In Hamelin di Juan Mayorga tutte le tessere, dalla fiaba all’interrogazione odierna, si incrociano a plasmare la metafora della convocazione, del processo di responsabilità rimbalzato di bocca in bocca così come dell’incapacità di trovare “le prime parole” per una posizione autentica.
Nella messinscena proposta dal gruppo degli Incauti le contraddizioni, i reati, i non detti e le precarietà psicologiche e sociali vengono a galla da una sorta di abbattimento della quarta parete per cui la vicenda di un abuso sessuale su minori si inscrive nel quadro di una didascalia continua e pronunciata con enfasi. Un personaggio-guida, un didascalista e regista di una compagnia che all’ultimo forma una scena di bauli e costumi appesi su una stecca d’acciaio resta dietro una postazione di luci e musiche, si muove tra gli attori per indicare loro cosa fare e come dire, attraversa il pubblico spiegando quel che è ostico riesumare e restituire sul palco. Se dunque è accattivante la dichiarazione aperta unita alla labilità che è del mondo come delle repliche, non lo è altrettanto il disegno registico nel suo insieme.
L’invasione degli attori e la chiamata al pubblico fanno subito pensare al ribaltamento pirandelliano de I sei personaggi in cerca d’autore o di Questa sera si recita a soggetto, ma senza la morsa rivoluzionaria di quella decostruzione, senza il sostegno indispensabile di un corpo drammatico eclettico e provato. Una sfida che, dal fiabesco della città assediata dai topi e dal bisogno di un flauto magico per allontanarne l’avanzata, non riesce a trarre lo scontro davvero frontale tra le cattive autorità che distorcono il vero e la fragilità velenosa di chi le subisce.
La drammaturgia di Mayorga non lesina dettagli e pause, affronta le ombre di un uomo di legge che cede al ricatto della tentazione di insabbiare tutto e non sa nemmeno parlare al proprio figlio sempre più violento, raccoglie le vite degli altri come fossero appunti di una fiaba dell’orrore più spietato perché realistico in una gamma molteplice di inquinamento dei sentimenti e del gioco scenico. Ma nella voce del didascalista che incalza insieme al coro che ripete, nelle brevi azioni sceniche non collaudate ma sospese, nella dilatazione eccessiva dei tempi di reazione e virtuosismi che a volte impiegano oggetti altre perlopiù li descrivono, fa eco un annebbiamento sia di quel nucleo drammaturgico, sia dell’intenzione interpretativa.
Laddove una storia si trascina e non attraversa fino in fondo l’afasia, ma ripercorre meccanicamente e manieristicamente la spinta a riflettere sui termini del teatro, rischia di allontanarsi pericolosamente proprio dalla sua pronuncia più efficace. Quella che produce l’osservazione e la riflette nello specchio del pubblico, lo convince di un’urgenza nel mezzo di una confessione o di un intreccio che ha per colonna vertebrale anche l’attore e il suo coraggio. Il flauto di Hamelin vive di una scrittura solerte a mostrare ferite e contorsioni del ragionevole dubbio e, proprio in funzione della sua doppiezza abile, convincerebbe di più ripescarne la didascalia in una coralità davvero complice della durezza dei silenzi e dell’intimità delle solitudini.

Fino al 22 giugno – Teatro Elfo Puccini Milano

Hamelin

di Juan Mayorga
regia Simone Toni
con Luca Carboni, Federica Castellini, Marco Grossi, Diana Manea, Stefano Moretti, Giulia Valenti
scene Alessandra Gabriela Baldoni
musiche Giacomo Toni
assistenti alla regia Diana Manea, Marco Grossi
produzione Gli Incauti

Lo spettacolo è stato realizzato grazie a Accordo GECO 2 – Giovani Evoluti e Consapevoli – Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù Emilia Romagna e da Emilia Romagna Teatro Fondazione. Si ringraziano per la collaborazione l’Instituto Cervantes di Milano e l’Associazione Apriti Cuore ONLUS di Palermo.

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