Mia nonna non lavorava. Almeno, non fuori casa. Aveva tre figli, li cresceva, li educava, curava l’orto e cucinava un ottimo ragù. Un ottimo ragù che ha continuato a cucinare perfettamente, con la stessa ricetta e con lo stesso amore fino all’ultimo giorno della sua vita.
Mia madre lavorava. Ma solo mezza giornata. E a un certo punto ha lasciato il suo lavoro. Almeno, quello fuori casa. Aveva due figlie, le cresceva, le educava, non aveva un orto ma tanti negozi vicino a casa, e cucinava lo stesso ottimo ragù della sua mamma. Ragù che continua a cucinare perfettamente.
Tutti si aspettavano che mia nonna e mia madre si occupassero più della casa e dei figli che di ciò che stava fuori. Non si parlava tanto di conciliazione fra famiglia e lavoro perché c’era ben poco da conciliare.
Nel frattempo c’è stato il femminismo, il ’68, e finalmente ci siamo tutti (o quasi) resi conto che donne e uomini devono avere uguali diritti e doveri.
Ora moltissime 30-40enni lavorano fuori casa, fanno orari impossibili, passano alla velocità della luce dal supermercato, tornano a casa, e ricominciano a lavorare lì: crescono e educano i figli, e cercano anche di cucinare quell’ottimo ragù di sempre. E nella maggioranza dei casi quel lavoro, quello a casa, non è diviso a metà con i mariti.
A me sembra che invece di avere ottenuto pari diritti e doveri, abbiamo ottenuto pari diritti (forse) e quasi il doppio dei doveri.
Ma forse mi sbaglio.