All’improvviso, si registra un’ondata di migliaia di indignazioni perché «siamo al governo con un delinquente». Numi!, non me n’ero proprio accorto.
Uno sdegno comprensibile nel merito, s’intende. Ma fino all’altro giorno ci eravamo quasi messi il cuore in pace, perché comunque un governo s’aveva da fare, Berlusconi – che già non era proprio uno stinco di santo, dicono – a parte. Oggi, però, la musica è cambiata: «Vergogna!», «troppe cose ci dividono dal Pdl» (si spera, aggiungerei; ma ieri no?), «che ci fa il Pd al governo con uno così?».
Solone arringa i lettori del Fatto.
Si innesta quindi il classico e assai noto meccanismo che incanala l’acqua verso il proprio mulino: i dissidenti tornano a dissentire sulla cresta dell’onda, i manettardi neogrillini rivendicano la loro purezza intellettuale e il “governo del cambiamento” col M5s magari l’avessimo fatto: loro saranno spesso ignoranti, manichei e a tratti un po’ autoritari, ma almeno non hanno la Santanchè. Poco importa che di noi non vogliano saperne – oggi, per dire, Beppe Grillo sul suo blog parla delle dimissioni di Josefa Idem per attaccare il Pd, senza riferimenti al processo Ruby.
Chi ha preso parte ai brindisi post-sentenza condividendo le loro parole dovrebbe riflettere su come queste categorie di soloni, lungi dal voler indicare la Luna di una politica migliore fatta di partiti integerrimi, mirano soprattutto ad attrarre e lusingare gli stolti che osservano il dito (il loro, nello specifico). Perché di questo si tratta: Berlusconi era Berlusconi anche ieri, e pare quasi che la sentenza di Milano, più che motivo di discussioni che entrano nel merito della questione, sia per costoro una bandierina da sventolare ammiccando soddisfatti: «Visto? Io sono meglio».