Il precario – riflessioni in cerca di editoreTra il dire e il (decreto del) fare

Il continuum linguistico tra il trapassato governo tecnico montiano e l’attuale governissimo prosegue. Dopo i risultati tutt’altro che entusiasmanti ottenuti dagli sterili tentativi del primo - i d...

Il continuum linguistico tra il trapassato governo tecnico montiano e l’attuale governissimo prosegue. Dopo i risultati tutt’altro che entusiasmanti ottenuti dagli sterili tentativi del primo – i decreti “salva Italia” e “cresci Italia” – che invece di salvare o far crescere avevano ancor più impietosamente affossato l’Italia, adesso Enrico Letta annuncia il decreto del fare. Sembrano un po’ quei nomi dati alle ondate di caldo intenso durante la stagione estiva scorsa (Minosse, Scipione, Nerone, Caronte) e che con molta probabilità, visto l’enorme successo ottenuto, verranno riproposti anche quest’anno magari attingendo da qualche epopea nordico/scandinava o celtico/germanica: quello che comunemente veniva chiamato semplicemente “ondata di caldo”, assumeva una connotazione mitologica, quasi epica. Allo stesso modo ciò che prima veniva chiamato semplicemente “decreto legge” o “disegno di legge” oggi viene denominato con gli appellativi più fantasiosi possibili, quasi parossistici, forse allo scopo di indorare la pillola o mistificarne i contenuti, come se un nome roboante possa aggiungere quel non so che di solenne ed istituzionale.
“È un provvedimento completo”, ha commentato mister Letta, al termine della riunione-fiume di oltre 5 ore del Consiglio dei ministri che ieri ha portato all’approvazione dell’atteso decreto legge. In tutto gli articoli del “decreto del fare” sono 80 e spaziano dagli aiuti alle imprese e alle famiglie alla sburocratizzazione e semplificazione delle amministrazioni statali e locali toccando temi che vanno dal fisco all’economia, dalla finanza alla giustizia, dal lavoro all’edilizia; nei propositi studiati per far ripartire l’ingolfata Italia.
Auspicabilmente questo decreto porrà fine a quell’immobilismo patologico che fino ad ora aveva contraddistinto l’operato del nostro esecutivo (descritto “in letargo” anche dall’autorevole Financial Times di qualche giorno fa), ma di certo lascia aperto il dibattito sul prossimo aumento dell’IVA, sulla questione IMU, sulla situazione scoraggiante in cui langue il Paese e soprattutto sulla reale attuazione delle misure poste in essere.
Nella speranza che non si dimostri vano e inconsistente come lo furono i suoi famigerati predecessori, ciò che preme sottolineare è il filo conduttore che lega “il fu” governo dei tecnici alle attuali larghe intese, tanto che si potrebbe pensare che le elezioni politiche dello scorso febbraio non siano servite a cambiare proprio nulla: entrambi i governi erano e sono appoggiati dai medesimi partiti (PD e PDL) ed entrambi si propongono come divulgatori di una neolingua di orwelliana memoria.
Sembra di assistere alla proiezione di un sequel; una specie di Rambo 2, Terminator 2 o L’allenatore nel pallone 2 e, come tutti sanno, a volte il sequel è peggio del primo episodio. Mister Letta ha sostituito il robotico Monti mentre i saggi hanno sostituito i tecnici: stessa regia, stessa sceneggiatura, stessa trama, stessa colonna sonora, stessi attori; cambia solo qualche comparsa.

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