Nel 1936 Fred Perry diventava l’ultimo pioniere del tennis britannico a calcare da vincitore i ridenti campi di Church Road. Inerpicatosi tra le quattro semifinali di Henman e la sua cocente sconfitta dello scorso anno, Andy Murray si impadronisce di un’intera nazione ricollocandola lì dove merita. Dietro la storia di Murray si cela però una storia tragica ma formativa come non mai.
Andrew Barron Murray da quest’oggi ha un merito. Qualcosa si era intuito lo scorso anno durante i Giochi Olimpici, la definitiva consacrazione avviene un anno dopo. Il suo merito è e sarà quello di sobbarcarsi un’intera nazione; fino a stamane era una pesante croce da trasporto, ora mutatasi nella più grande delle gratificazioni.
Lo scozzese, da oggi un po’ più inglese, (perchè si sa, anche oltremanica la linearità del pensiero presenta qualche falla) accomuna più di 60 milioni di persone sotto un unico credo e a servizio di un’unica grande fede: quella fede incrollabile che scaturisce dalla vittoria ineguagliabile di uno Slam, tu che hai avuto la fortuna di poter nascere inglese e, a dispetto di una stirpe di tennisti arrembanti ma mai vincenti, di poter trionfare nel torneo più prestigioso del globo supportato dal tuo pubblico. Nel 1936 probabilmente molti dei presenti oggi sul Centrale dell’All England Club neanche erano nati ma sicuramente tutti sapevano di un fardello pesante 77 anni di aspettative mai concretizzate.
Con la vittoria odierna Andy Murray traccia un solco e forse, a questo inusitato successo, lo scozzese è arrivato anche grazie ad un avvenimento di cui egli stesso fatica a parlare. Si trova qualche sparuta traccia nella sua biografia pubblicata nel 2009 ma l’accaduto risuona come un incessante motore nella sua testa, da dover archiviare al più presto.
Il 16 marzo del 1996 Murray frequentava la scuola elementare a Dunblane, la città con la quale ancora oggi è accomunato. Quel giorno si consumò una delle più immani stragi della storia recente, soprannominata appunto “la strage di Dunblane”. Thomas Hamilton, capo scout della piccola scuola di città, si presenta in palestra in attesa che i ragazzini facessero riscaldamento per dar avvio all’ora di educazione fisica. Thomas Hamilton, 43 anni e gravi deviazioni mentali, è però armato con quattro pistole dalle quali la violenza inconsulta dell’attentatore fa fuoriuscire 743 colpi che uccidono 16 bambini di quella scuola. L’attentatore si unisce poi a quei 16 fragili corpi togliendosi la vita. Andy Murray e il fratellino Jamie frequentavano quella scuola: una cattedra fu la loro ancora di salvezza, sotto cui ancora sono probabilmente riposte le amare lacrime di un bambino di 9 anni rimasto oggetto di un’angosciante paura. I due Murray riuscirono a salvarsi, avvinghiandosi alla mamma in lacrime all’uscita della scuola, quella stessa Judy che segue ormai Andy in ogni torneo. Portarono in salvo anche dei compagni di classe, ignari dell’accaduto nella spensieratezza della loro infanzia.
Nella fatica con la quale, nelle poche occasioni in cui qualcosa è fuoriuscito dalla bocca dello scozzese, Murray ne parla, la voce è strozzata, languisce lacrime amare di paura: “Voglio che Dunblane riesca a uscire da questo incubo. Ne sento la responsabilità. Ricordo la spinta e ricordo la gente che piangeva. Poi, qualche anno dopo mi resi conto davvero di quello che era successo: c’’erano famiglie senza più bambini, c’’era e c’’è ancora un paesino di provincia che non si è più ripreso.” Non parla volentieri di questa pagina nera della sua vita, anzi, si stizzisce ogni volta che gli viene ricordato, anche se sono frequenti le domande al riguardo.
E’ in occasione del suo primo importante successo, lo Us Open jr del 2004, che Murray dedica il successo alle vittime di quella terribile giornata, auspicandosi che il paesello possa riprendersi. Successivamente le domande continuano ad essere incessanti, lui le schiva al contrario di quello che ha fatto, negli anni, nei tornei in cui è stato protagonista assoluto, il più delle volte rubando il proscenio a chi più di lui era accreditato.
Sotto l’intricata sagacia tattica che lo accompagna durante i suoi match c’è quindi un aneddoto, una piccola falla nell’inespuganbile stile d’oltremanica che lo scorta. Non chiamatelo British però, non ha nulla a che vedere con quell’Henman oxfordiano di cui ormai il pubblico inglese è dimentico. Lo è perchè il 7 luglio del 2013 si è riscritta una pagina di storia, non solo del popolo inglese ma mondiale. Murray ne è il protagonista principale, come, suo malgrado, lo fu 17 anni fa quando, da bambino, riuscì a donare la vita a se stesso e a chi, come lui, avrebbe rischiato di soccombere inerme sotto le angherie di uno scriteriato.