TemporaliaBarca, Civati e il lume della ragione

La mettono sul cervellotico, Fabrizio Barca e Pippo Civati, riguardo al futuro del PD. E lo fanno con un dibattito – ospitato dai loro rispettivi blog – che sembra muoversi tutto lungo una sottil...

La mettono sul cervellotico, Fabrizio Barca e Pippo Civati, riguardo al futuro del PD. E lo fanno con un dibattito – ospitato dai loro rispettivi blog – che sembra muoversi tutto lungo una sottile metafora, quella cognitiva. La discussione mira d’altra parte a dare a un organismo partitico nato e cresciuto nella totale autoreferenzialità gli strumenti per connettere un complesso di stimoli e proposte che provengono dal suo esterno con un insieme di visioni eterogenee che lo dilaniano. Si tratta, insomma, di proporre un modello di gestione dell’informazione, e quindi di disegnare un nuovo schema di pensiero che risvegli il partito da un sonno della ragione in cui è rinserrato.

Non sarà un caso, quindi, che Barca, citando il sociologo Ronald Inglehart, punti ormai da tempo sul concetto di «mobilitazione cognitiva», rivendicando per il partito la possibilità di trasformarsi in un complesso luogo di confronto di opinioni. L’ex ministro individua in una sovrapposizione impropria tra strutture partitiche e istituzioni la causa prima dell’inottusimento della politica italiana, divenuta incapace di assimilare qualsiasi nozione si ponga al di là dell’orizzonte di comprensione che essa stessa produce. Un rinvigorimento della flaccida materia grigia di partito arriverebbe perciò, secondo Barca, dalla commutazione dell’attuale PD in un “partito-palestra”, lontano dall’inebetimento di ideologie e lobby di potere; un partito dotato di una propria vis cogitandi che, senza lasciarsi ammaliare dalla retorica della rete e delle movimentazioni di pancia, è «animato dalla partecipazione e dal volontariato», trae la propria legittimazione dagli iscritti e il proprio sostentameno dai simpatizzanti, ma soprattutto torna ad essere «come nei partiti di massa», «“sfidante dello Stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica». Quello proposto da Barca è insomma un organismo che ragiona secondo schemi “cognitivi” (nonché politici) molto classici: un centro di raccolta e di elaborazione dell’informazione, responsabile di tutto il processo di comprensione, che pesca nel materico bacile dove si raccoglie la pluralità dei dati, li sintetizza, li mette a frutto nella vita parlamentare e quindi li restituisce rielaborati alla periferia.

Civati, da parte sua, replica citando niente meno che Kant e la “funzione trascendentale” della ragione pura. Per disfarsi dei fantasmi che infestano la sua coscienza il PD deve avviare una rivoluzione copernicana, che disfi la logica partitocentrica che ha cristallizzato ogni sua cognizione sull’asse vertice-base, allargando viceversa il processo di elaborazione dei contenuti ad associazioni, movimenti e semplici simpatizzanti. È d’altra parte un modello, questo, in cui, similmente all’intelletto kantiano menzionato da Civati, il partito raccoglie stimoli già elaborati da agenti preliminari, modellando poi queste impressioni fino a farne contenuti politici. Rovesciando la piramide cognitiva, e con essa l’attività centripeta di elaborazione proposta da Barca, il centro direttivo del sistema lascia perciò che sia una ricca moltitudine di punti nevralgici a processare il dato, che in seconda battuta il centro non fa che ospitare – queste le parole di Civati –, fare proprio, e ancora una volta comunicare alle parti.

Ora. Proprio sulla scorta della metafora cognitiva impiegata, non si può – io credo – che rilevare come entrambe le proposte delineino, seppur con intenti differenti, un partito che pensa unicamente per astrazione, ovvero secondo un movimento che sottrae la realtà empirica dal suo contesto e se ne appropria filtrandola e semplificandola. Un partito-contenitore, unificante – panlogista, per farla difficile – che anche nella proposta “dinamica” di Civati approccia, maneggia e manipola la pluralità del mondo extrapartitico allo scopo di farne un dato fruibile per la sola ratio del suo sistema interno. Perché infatti, come Civati stesso sembra pensare, la pluralità e la freschezza dei movimenti e delle associazioni extrapartitiche dovrebbero essere ricondotti al movimento cognitivo di un partito? Perché dovrebbero essere compresi e iscritti, soltanto perché ospitati, in un’ulteriore architettura di nozioni? Il fatto che il PD apra le porte a processi “cognitivi” che avvengono al suo esterno non riesce infatti a nascondere che è in seconda istanza sempre nel partito e nel suo processo di autoconsapevolezza che, secondo Civati, queste spinte dovrebbero culminare.

Non si tratta, qui, di fare sterile antipolitica, quanto piuttosto di rilevare come entrambi, Barca e Civati, ripropongano un sistema che già conosciamo come intrinsecamente deformante (come d’altro canto ogni sistema di comprensione) e che nei decenni passati ha consentito alle idee di circolare solo dietro l’attenta copertura di qualche ideologia. Con la loro logica un po’ libresca né Barca né Civati sembrano capire, in fin dei conti, che il presente di questo momento storico, con il suo brulicare disordinato e multiculturale, con il suo anarchico ma globalizzante sovrapporsi di culture, mezzi e posizioni, si arresterà sempre e comunque alle porte delle sedi di partito, incomprensibile nella sua complessità per una struttura organizzata in termini centripeti e sprovvista di una sufficiente fluidità. Quella in cui viviamo si rivela ogni giorno di più un’epoca di assenza del centro, o meglio un’epoca in cui il centro è dappertutto, e lo slittamento che la forma-partito ha subito dal partito di massa a quello di opinione, è stata probabilmente l’anticamera di questo progressivo sfaldarsi delle principali strutture unitarie di pensiero, nonché di uno scollamento radicale tra consenso politico e partecipazione “cognitiva” che rende oggi i partiti delle mostruose macchine di incomprensione e discognizione della realtà sociale.

Per ritrovare il lume della ragione, al contrario, un soggetto politico come il PD, che ambisce a restituire a questo paese una chiarezza di vedute, deve avere il coraggio di togliersi di dosso gli inadatti panni della forma-partito e divenire viceversa uno strumento il più possibile trasparente e liquido di interazione tra movimenti, un organo di supporto alle proposte della società civile. Deve essere perciò capace di resistere alla tentazione di comprendere le forze che animano il paese sempre ed esclusivamente nell’ottica distorsiva del suo personale foro interiore, uscendo viceversa dalle stanze tappezzate di manuali per mettersi in azione nella più completa dimenticanza di sé. Solo così potremmo definirlo un apparato cognitivamente intelligente, giacché in grado di modificare la realtà in cui si radica confrontandosi con essa su un terreno non suo e con strumenti concettuali non prodotti ad esclusivo uso e consumo della sua sussistenza e autoreferenzialità.

Simone Guidi
@twsguidi

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