La frittata è fatta: il Pdl è parzialmente riuscito nel suo intento di balcanizzare il Parlamento e il Pd si è spaccato al suo interno tra lealisti e critici a una manovra che sarà sì parte della prassi istituzionale, ma di sicuro fa storcere il naso per i modi e i tempi in cui viene messa in atto. A guidare il fronte dei contrari è stata Rosy Bindi, mentre il giovane turco Matteo Orfini, tra gli altri, ha difeso la linea comunicata dal partito.
Oggi Roberto Speranza, capogruppo dei deputati piddini, rilascia un’intervista a Europa e dice:
Con Guglielmo Epifani, capigruppo di camera e senato abbiamo fatto una veloce valutazione e abbiamo deciso di tenere una posizione di forte contrarierà alla richiesta. Abbiamo riunito anche gli uffici di presidenza dei gruppi e si è ufficializzata la nostra posizione: no alla moratoria di tre giorni, disponibilità a concedere qualche ora per una discussione in un passaggio difficile.
Poi è arrivato anche lo stigma di Epifani: «Il Pdl mette a rischio la funzione stessa di questo governo». Ma è troppo tardi: il partito è diviso, in vena di accuse reciproche e – soprattutto – in rivolta.
Quello che sorprende, tuttavia, è che in un simile panorama di sconquasso, divisione e incertezza politica (peraltro all’indomani del taglio del rating dell’agenzia Standard&Poor’s, preludio a un futuro tutt’altro che roseo sul piano economico), qualcuno possa cantare vittoria.
E lo fanno in tanti, almeno a giudicare dai miei feed di notizie sui social network. «Io l’avevo detto». «Faccio notare che la cosa era già nota prima di oggi». «Improvvisamente il Pd si accorge che questo governo è una porcata». Sono solo alcune delle cose che ho letto in giro, e non soltanto dai soliti noti del “tanto peggio tanto meglio, finché abbiamo ragione noi”.
Eppure, signori, la politica a volte è una questione dannatamente semplice. Posto che governare con un partito – che non è un partito ma una propaggine – come il Pdl non è il meglio che si possa chiedere alla vita; dato per appurato che le condizioni a cui portare avanti una simile coalizione sono difficili da sopportare; accertato che il Pd non può ridursi a galoppino dei pasdaran berlusconiani: cos’altro si poteva fare?
Tutti questi paladini della purezza, che un giorno predicano la moderazione e quello dopo, con sano opportunismo, salgono in cattedra a pontificare sulla malvagità di chi ha reso possibile quest’alleanza scellerata, dimenticano un paio di cose. La prima è che siamo arrivati a questo perché prima al timone c’erano loro, perciò è inutile fare gli antiberlusconiani postumi, quando Berlusconi potevi batterlo prima con la linea, il candidato e il programma giusti.
La seconda è che le elezioni di febbraio hanno sancito un voto ripartito in tre formazioni, e da soli governare era impossibile. Bisognava allearsi con qualcuno, e il Movimento 5 stelle al «governo del cambiamento» di bersanian-civatiana memoria non ci ha mai pensato un attimo, continuando a spernacchiarlo dal primo giorno. Rimanevano gli altri, il Pdl, e non c’erano altre opzioni. Tornare a votare dopo uno-due mesi era fuori discussione: cosa avrebbe spostato i voti rispetto alla tornata precedente, di grazia?
La critica al metodo scelto dalla direzione del Partito democratico per comunicare e motivare la linea sul voto pro-interruzione dei lavori è sacrosanta. Un po’ meno – per usare un eufemismo – lo sono gli strali di chi ha contribuito a portarci dove siamo, e magari ha in mente un partito ideologicamente congruente con quello che combatte con fiero sdegno.
Basterebbe una risposta a questo: che altra strada si poteva imboccare? Quella dell’elezione di Rodotà (perché vi giuro, ho letto con questi occhi che la colpa è da imputare a Napolitano)? Quella di un nuovo scouting grillino? Di un governo con i ferrei alleati di Sel? Tanti saluti.