Nonostante la rotonda vittoria dei verdeoro sui campioni del Mondo in carica – la Spagna del soporifero ma micidiale tiqui-taca – nonostante la vivace e colorata cornice di spettatori presenti sugli spalti e nonostante i nuovi e sontuosi stadi inaugurati in occasione della Confederations Cup, il Brasile ha perso; sconfitto e segnato in maniera profonda e indelebile dalle incessanti proteste che hanno fatto da cornice durante tutto l’arco dell’evento. Lo “spettacolo del calcio” questa volta ha dovuto arrendersi e lasciare il palcoscenico alle grida disperate di un popolo esausto ed arrabbiato, per nulla distratto dall’evento calcistico.
In una nazione dove il calcio più che un semplice sport rappresenta una vera e propria religione, la protesta ha offuscato l’intera manifestazione sportiva pre-mondiali: non c’è praticamente stato giorno senza cortei o scontri da parte di un popolo che chiede sostanziali miglioramenti strutturali nel trasporto pubblico, nel sistema sanitario nazionale e in quello abitativo nonché una ferma lotta contro l’imperante flagello della corruzione, al fine di attenuare le gravi disuguaglianze socio-economiche che caratterizzano il Paese.
L’aumento sconsiderato delle tasse e del costo della vita per finanziare gli eventi sportivi in programma – in particolar modo i mondiali di calcio della prossima estate – ha inasprito gli animi dei brasiliani, sfociando più di una volta in violente esternazioni che hanno portato morti, feriti e centinaia di arresti nonché all’uso della forza da parte della polizia. Numeri da guerriglia.
Il tessuto economico-sociale brasiliano, infatti è costituito non solo dal benessere apportato dalla recente crescita economica e dal sostanziale aumento del PIL, ma è anche formato da coloro che abitano ancora nelle favelas, regno delle più bieche ingiustizie e diseguaglianze sociali e delle povertà più profonda. Il popolo brasiliano si è scagliato (anche violentemente) contro questa gestione capitalistica del calcio che pone in primo piano i grandi sponsor e lascia indietro i più poveri, soprattutto in un Paese in cui dilagano povertà e disoccupazione.
Ciò dimostra, ancora una volta, il collasso che il sistema capitalistico sta subendo; una “globalità della crisi economica” che colpisce anche i cosiddetti “stati emergenti” e non solo quelli occidentali. Il governo, presieduto dal primo ministro Dilma Rousseff, deve per forza di cose dare efficaci risposte strutturali a questo condivisibile malcontento in vista dei prossimi ben più impegnativi mondiali del 2014.
Dall’alto dei loro ingaggi faraonici alcuni giocatori della Seleção, Neymar ed Hulk su tutti, si sono schierati a favore dei manifestanti e si sono detti “solidali” con le idee che hanno portato alla rivolta. Saudade.
1 Luglio 2013