Nella cornice della XXII edizione di Mittelfest a Cividale del Friuli, in aperto incrocio di civiltà dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, lo scorrere degli appuntamenti ha preso l’avvio dalla monumentalità visiva di Michelangelo di Tomaž Pandur, continuando ad attraversare echi di universi mitteleuropei solitamente sfuggenti, ammessi alle piazze come memoria letteraria o innescati dalla tradizione storica. Ne sono prova la versione fin troppo alleggerita del Novecento data da Lina Wertmüller in Un’allegra fin de siècle, quadro epocale da cafè chantant e dittatori sanguinari con baffetto o, all’opposto, la scrittura densa e sorvegliata delle umanità presenti in Microcosmi di Claudio Magris. Titolo quest’ultimo di un romanzo che si imprime principalmente come ritorno di idee a Mittelfest e, dopo una lunga, eroica maratona scenica e itinerante in più luoghi cividalesi, per la regia di Giorgio Pressburger, caratterizza il richiamo fino al 20 luglio a intrecci possibili di generi con occasioni di ripescaggio talvolta inestimabile.
È questa la condizione di Vivo e Coscienza, copione scritto da Pier Paolo Pasolini nel 1963, rimasto incompiuto e proposto domenica 14 dal coreografo Luca Veggetti in una coproduzione Milano Teatro Scuola Paolo Grassi e Mittelfest. Una sequenza aperta di quattro quadri concepiti per la danza e contraddistinti da uno sviluppo drammaturgico che riserva esito pieno soltanto al primo e, in un’annotazione a margine dell’autore, prevede la riduzione a tre delle scene. Il passaggio della scrittura pasoliniana dal ritratto scenico alla didascalia vera e propria è stato fatto oggetto di uno studio il cui riverbero appartiene alle cornici storiche che inquadrano il dualismo centrale dei volti di Vivo e Coscienza: il Concilio di Trento, la Rivoluzione Francese, il Fascismo e la Resistenza.
Quattro capisaldi dove la simbologia di Vivo compare per la prima volta come adolescente che compie un «lavoro antico» ed è carico di pura vita, premessa alla trasformazione in danza e all’opposizione a Coscienza, emblema di pudicizia e castigo secenteschi. I calchi pasoliniani sciolgono via via temperamenti che a passi alterni muovono Vivo in una lotta-vicinanza con Coscienza nell’impossibilità di un bacio e necessaria fusione tra quanto è proteso e rivoluzionario e ciò che invece incarna il compassionevole, alto e riposto.
La scena coreutica è reinterpretata da Veggetti anche mediante le posizioni di tre tavoli capaci di riprodurre sia lo sciame degli amici di Vivo, sia l’isolamento di Vivo e Coscienza in duello passionale e ideologico. Laddove i tavoli si inclinano o vengono sollevati da un gruppo di giovani danzatori di intensità davvero tenace, quasi ne escono motivi da ritrattistica sacra o caravaggesca, linee di fuga dietro cui l’occhio finisce per perdersi, senza tuttavia veder mai annacquato il conflitto pasoliniano tra passione e aspirazione mistica, ombra e luce.
I raccordi tra la mitologia vitalistica di Vivo e l’impulso casto di Coscienza, tra l’«anonimo vivo» e colei che pure conserva in disperazione la luce della speranza appartengono però anche a una precisa partitura sonora in origine destinata al compositore Bruno Maderna e qui affidata a Paolo Aralla. Nonostante le indicazioni di Pasolini siano precise attorno alle distorsioni da operare, il movimento impresso da Aralla procede soprattutto dalle fonti e dalla loro trasformazione. Dalla partitura della Passione secondo Matteo di Bach, utilizzata nel film Il Vangelo secondo Matteo, a una tecnica di elaborazione sonora proveniente da microfoni collegati ai tavoli e riflessi in un gioco di interazioni ottenute in tempo reale, mediante le amplificazioni delle coreografie. A ogni gesto, relazione, scambio o rincorsa di Vivo e Coscienza fuori e dentro le barriere corrispondono scie che acquistano ancora più forza in corrispondenza della voce registrata del poeta novantenne Francesco Leonetti – già corvo in Uccellacci e uccellini – cui è affidata la lettura del testo, forse all’origine pensato per Ninetto Davoli e Laura Betti.
Rivive allora nell’ambiguità anche un’altra coscienza pasoliniana: «Nessun artista in nessun paese è libero. Egli è una vivente contestazione». Il corpo di Vivo è circoscritto da un rettangolo di luce e, come in una replica stantia della stessa guerra devastatrice, procede avanti e indietro con le sincopi e le rigidità di chi fa per resistere e arretra soltanto. Il suo essere «monumento della vita» agli occhi di Coscienza, sia che quest’ultima parli per voce della borghesia, sia che si rivolga a un partigiano della Resistenza, sbanda nella deriva solitaria. L’avvicendamento sopra e sotto il tavolo è piattaforma simbolo della reiterata fame di un corpo smemorato e della preghiera di un’attesa liberatoria. Il passo lento dell’uno al posto dell’assenza di lingua dell’altro chiude nella delicata dispersione di Cosa sono le nuvole, canzone scritta da Pasolini con Domenico Modugno per il film omonimo. Una voce arcana e insieme la sparizione nel buio dei danzatori per lasciare altra vita al grido disperante di una nuova coscienza.
VIVO E COSCIENZA
di Pier Paolo Pasolini (1963)
coreografia, regia e dispositivo scenico Luca Veggetti
musica e progetto sonoro Paolo Aralla
voce Francesco Leonetti
luci Paolo Latini
con gli allievi del Corso di Teatrodanza di Milano Teatro Scuola Paolo Grassi
coordinato da Marinella Guatterini:
Vito Carretta Silvia Dezulian Laura Ghelli Angela Papagni
Marco Pericoli Alice Raffaelli Giulia Rossi
Jonathan Tabacchiera Gabriele Valerio
Debutto nazionale – coproduzione Milano Teatro Scuola Paolo Grassi e Mittelfest
Foto di Angelo Redaelli ©