BelfagorIl Pd è diviso? Qualcuno sa come sistemarlo

Il Partito democratico è impegnato nelle primarie. Ormai da un anno, senza soluzione di continuità. Non ha vinto le elezioni politiche, nonostante le previsioni e le attese. Di tutti. Ha perduto il...

Il Partito democratico è impegnato nelle primarie. Ormai da un anno, senza soluzione di continuità. Non ha vinto le elezioni politiche, nonostante le previsioni e le attese. Di tutti. Ha perduto il dopo-elezioni, non riuscendo a imporre i suoi candidati alla presidenza della Repubblica. E ha “subìto” la partecipazione a un governo di scopo – alleato con l’avversario di sempre. Certo, ha vinto le amministrative. Ma ciò conferma il distacco fra la base e il gruppo dirigente nazionale. Il Pd: è un partito “impersonale”, perché non c’è “un” leader in grado di rappresentarlo tutto e unito. I partiti della Prima Repubblica, da cui origina, gli garantiscono “resistenza”, ma non slancio, crescita. Alle elezioni di febbraio si è ridotto al 25% o poco più. Rispetto al 2008 ha perduto 3 milioni e mezzo di voti. Quasi un terzo. Ora, dopo le amministrative, pare risalito al 28%. Ma resta un partito incompiuto. Fra un anno non sappiamo chi ne sarà il leader. E di che consenso disporrà.

Ilvo Diamanti, la Repubblica, 1 luglio 2013

Come minimo il Pd ha un problema di leadership. E anche e sempre per lo stesso motivo – la sua varia composizione interna a partire dall’origine – un problema di identità. Ogni volta che deve identificarsi con una scelta secca va in pezzi. Aveva un solo nemico, o almeno così sembrava. Ma non ha mai avuto una sola figura positiva di riferimento. Neppure Prodi. Come si è capito e si è visto ancora qualche tempo fa in una importante occasione. Il chiarimento, se mai ci potrà essere, sarebbe preliminare a ogni altra scelta.

Che cosa ti combina a questo punto il Galli della Loggia sul Corriere? Si inventa che il problema è uno solo, la leadership e che, risolto quello, tutto va a posto come per incanto. Ecco il passo nel quale si compie la quadratura del cerchio: “Dopotutto il Pd sa bene che se vuole davvero vincere un’elezione politica altri candidati oltre lui non ci sono (essendo francamente incredibile che a Largo del Nazareno ci sia qualcuno che pensa di convincere gli italiani a farsi governare da Fssina o da Civati). È solo a Renzi che il Pd può ricorrere. E a quel punto egli sarebbe in grado di imporre agevolmente le sue condizioni: sia per il programma che per la composizione delle liste”.

“Egli sarebbe in grado di imporre agevolmente”… Si fa presto a scrivere. Ma dal dire al fare… Come fa un partito costitutivamente diviso a porsi volontariamente sotto il controllo di un leader designato dagli elettori, ma visto con sospetto dall’organizzazione medesima? Non si dica che queste cose sono indegne e inammissibili. Queste cose esistono. E’ questa la realtà effettuale, come avrebbe detto Machiavelli. L’episodio del voto mancato a Prodi per la presidenza della Repubblica dovrebbe aver mostrato quanto sia pericoloso ignorare la consistenza delle divisioni interne. La domanda a questo punto è un’altra: come fa uno a ergersi a stratega da osservatore esterno quando non riesce a fare i conti con i dati elementari della struttura che vorrebbe sistemare?

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