Al termine della kermesse di tre giorni organizzata in terra emiliana da Giuseppe Civati, candidato alla leadership (no, scherzo, lo so che non si può dire) del Partito democratico, W Days, sembra che la sinistra italiana abbia una possibilità di rinascita: il clima è stato propositivo, la platea prodiga di applausi, alcuni dei panel dai contenuti interessanti.
Alla fine Civati è salito sul palco, a suggello della chiusura della manifestazione, lanciando de facto la sua candidatura ufficiale. Il suo discorso – quello di colui che da alcuni viene visto come l’homo novus della politica italiana, slegato da vecchie concezioni e foriero di rinnovamento – a me ha fatto trasalire.
Perché? Innanzitutto viene difficile pensare che, specie all’indomani dell’imbarazzante presa di posizione della presidente della Camera Boldrini, la Giovane Speranza della sinistra del 2013 possa dire «se un dirigente del Pd va a una manifestazione Fiom non si deve sentire in imbarazzo, mentre si governa con Berlusconi», perché «non è che se un esponente del Pd va alla manifestazione della Fiom diventa della Fiom».
Lasciamo perdere il ragionamento sotteso – già di per se opinabile: anche se non ci va non significa che sia al 100% ostile ai sindacati, no? – facciamo il conto di cosa costerebbe a noi, elettori del Pd speranzosi di poter vedere vincere quel partito alle prossime elezioni, arroccarci sulle posizioni della Fiom, quel sindacato capace di un’intransigenza che ha dell’incredibile e ideologicamente minoritario. Magari saremmo più “puri” a detta della sinistra più ortodossa e ontologicamente con la ragione in mano, ma di sicuro non governeremmo.
Il logo dell’evento di Reggio Emilia.
Ha continuato, Civati, ribadendo che si candida per «riportare con noi Sel», e mi sono chiesto, a quel punto, se anche Vendola possa essere considerato parte di una sinistra moderna, che non arranca dietro a ideologie anacronistiche e non indulge in chiacchiere che di riformista hanno solo l’uso delle subordinate. La risposta che mi sono dato la potete immaginare.
Come vogliamo tagliare la spesa pubblica, con Vendola? Come pensa di riformare il mercato del lavoro senza pregiudizi o mentalità post-novecentesche? Nella candidatura di Civati, a me sembra, convivono due anime: una è quella mediaticamente più esposta, che l’ha portato alla ribalta di questi ultimi mesi, concretizzata nel discorso da quel «vendicheremo Prodi e Rodotà» che pare il motto di una missione divina: la guerra ai “101” franchi tiratori e alle larghe intese come sintomo di una corruzione morale, prima che di errori politici: bisogna tornare alle origini.
L’altra, conseguente, è la battaglia per una limpidezza ideologica totale del partito, senza se e senza ma, in ossequio al fortunato assioma della “costola della sinistra” che vede nel Movimento 5 stelle un alleato naturale del Pd. L’immancabile riferimento al «governo del cambiamento», presente anche oggi, denota che ciò su cui fa leva Civati rimane innanzitutto l’alternativa a un “Pd con Berlusconi” – come se poi l’avesse scelto col sorriso sulle labbra, di governare col Pdl. «Se questo va contro le larghe intese, caro Enrico, ce ne faremo una ragione», ha infatti chiosato alla fine del suo intervento.
In buona sostanza, il Pd deve tornare a scaldare i cuori – l’aveva mai fatto? – ma per farlo deve rinnovarsi e svecchiarsi, liberandosi di ciò che negli ultimi anni l’ha portato allo stato attuale. Per rinnovarsi e svecchiarsi, prenderà a braccetto la Fiom, Sel e Vendola, il radicamento nei territori del vecchio Pds (ideologicamente più puro, è bene ricordarlo) e condirà tutto con i migliori esponenti del grillismo. Sarà un mio limite, ma non vedo nulla di nuovo in tutto questo, se non un Bersani con qualche anno in meno.
Se questa è la vostra idea di partito che riesce a vincere le elezioni, credo dobbiate uscire a vedere il mondo – e non lo dico con saccenza, ma con viva speranza che la sinistra non si ricacci in gorghi post-ideologici che l’hanno condannata a perdere, perdere e perdere.
Come ho scritto pocanzi, il fatto è che Civati sarebbe anche un buon politico, nonché sicuramente un ottimo leader di un partito di sinistra. Del 1972.