Dibattersi in una trattativa perenne, quella con il filo e la corrente degli altri. Assistere a se stessi, vedersi scorrere e insieme provare l’indicibile nell’apprendistato più infernale. La vita oscena di Aldo Nove approda ai frammenti di un intero imperscrutabile per primo a chi scrive. Perché assistere alla fine del mondo non implica per forza una catastrofe universale, un giudizio che si abbatte e si moltiplica. La fine può dare da bere all’assetato più prossimo, lo investe con i paradigmi più ritorti e terribili, gli esperimenti sessuali e allucinogeni più vorticosi e solerti.
Su quel fuori scena, quella narrazione dalle vette intoccabili per chi sappia sopravvivere con la poesia, si battono ora una drammaturgia a cura di Nicola Russo e una sceneggiatura a firma dello stesso autore e per la regia di Renato De Maria. Chi si fa curioso e insieme tenace a difendere il romanzo che ha amato e considera tra i territori più mirabilmente inesplorati, ascolta la prova teatrale ancora in asse traballante. Un accostamento di scritture, dove al racconto spezzato di una voce letteraria che imprigiona per bellezza, si vuole accostare l’altro filo di Flaubert e del suo San Giuliano Ospitaliere.
Su un tulle vengono proiettati oblò di animali, civette all’attacco miste a gorilla che allattano i piccoli, si fa largo faticosamente l’incrocio delle bestialità: il giovane protagonista resta senza nessuno e niente dopo la morte della madre per un cancro metafora di ogni dolore, dopo l’incendio che la confusione alcolica e sedata gli ha fatto appiccare al di là di tutte le coscienze. Il giovane ragno che si dibatte nella tela dei luoghi persi, la parola che viene a mancare in un’esistenza improvvisata, con i quattro soldi rimasti in banca, il posto letto al patronato cattolico e le strisce di coca lunghe un metro: indizi di una mappa senza luce.
Il risveglio del Giuliano guerriero di Flaubert, la sua fuga e la caccia alle bestie per soddisfarsi in potenza, hanno forse poco o troppo di forzato a confronto con la persistenza distruttiva di Aldo tra incontri sadomaso, sogni che impazzano e la poesia accanto alla pornografia. Due ritratti simili per solitudine e involucro folle, non per forza degni di senso. Il cimitero accoglie gli uguali, è l’unico a farlo e il giovane vaga senza afferrare la fine dell’imbuto.
In scena la delicata afasia di Nicola Russo e la poliedricità fiera della bravissima Clara Galante provano a tracciare i dualismi di una stanza «trasformata in ressa di sensazioni a metà, sensazioni decapitate di solco in solco, guerre e stiramenti di ossa che rovinavano giù a terra, sul pavimento». Intimo e davvero teatrale il quadro in cui la dominatrice e analista del buio stringe il giovane sotto due fari rossi che ha appena fatto oscillare. Ecco il «rifugio segreto», ecco la minaccia e la fortuna insieme, il temporaneo e il declino, la vibrazione del corpo e la persecuzione dell’immergersi in mille altre vite oscene.
Sul tulle continuano a volare rapaci e creature degli abissi, mentre alle spalle prosegue la trama parallela di Giuliano, ma ormai lo sguardo è fisso a cercare le dissolvenze di una pagina dolente e ironica, che del teatro rimpasta in maniera esemplare lo svanire delle notti e delle sovreccitazioni, gli istanti delle repliche dove chi si fa bendare è preda di altre prede, dove è impossibile essere normali. Se al cinema la visionarietà intensa e vorace di Aldo Nove saprà rompere la quarta parete e sovrapporre gli urli, i silenzi e le assenze, vorrà dire che proprio Cassandra sentenzia il giusto quando fa resistere le immagini alle parole.
Tuttavia, proprio quest’ultime lasciano indietro i bagagli più pesanti e i versi volatili senza cui osceno sarebbe soltanto negare loro protezione: «Era questo vivere? / Vedere incurvarsi gli slanci, fino a che l’arco non scompare e strisciamo a terra, ritornando alla terra, nuovamente, come ne fossimo stati l’eterna eccezione, ma così carina, da bambina, ma così forte, da grande. / Una parata d’illusioni e il morso della coscienza. / No, non era questo vivere. / Qualcosa d’altro vive che non è di noi, mostruoso, in noi. / Il dolore insegna. / Il dolore insegna che è inutile. / Il dolore dimostra che è brutto e cattivo. / Che non c’è scampo fuori dall’illusione, dalla distrazione. / Il dolore ti inchioda alle cose. / Il dolore è l’unico maestro».
Fino al 6 luglio – Teatro Elfo Puccini Milano
La Vita Oscena
di Aldo Nove
con libere incursioni da San Giuliano Ospitaliere di G. Flaubert
drammaturgia Nicola Russo
regia Nicola Russo
con
Clara Galante
Nicola Russo
scene e costumi
Giovanni De Francesco
suoni
Jean Christophe PotvinJ
luci
Cristian Zucaro
assistente alla regia e organizzazione
Isabella Saliceti
progetto grafico
Liligutt studio
una produzione
MONSTERA
realizzata in residenza al teatro Elfo Puccini