Intelligence? Mica tanto. Sono più di quanti credevamo, quelli che preferiscono farsi passare per cretini piuttosto che ammettere le proprie responsabilità. E a occhio, direi, ne abbiamo fatto accomodare una buona parte sulle sedie più comode e alte che avevamo.
Non so voi, ma io non avrei il fegato di darmi dell’idiota da solo; così, platealmente, in un’aula stracolma di persone ben vestite, sotto l’occhio impietoso delle telecamere. C’è invece chi riesce a stare in piedi di fronte a un paese intero – lo stesso al quale fino a poche settimane prima si era proposto come politico di razza, acuto stratega, leader autentico – sostenendo che un intero entourage di suoi sottoposti ha tramato, ordito, e senza che lui avesse la minima contezza di quanto avveniva sotto il suo naso, ha messo in atto un complesso piano di rimpatrio. E non li dimenticheremo, certamente no, quelli che vivono a loro insaputa. C’è quello – il caposcuola – che firma il rogito ignaro dei migliaia di euro di disavanzo. C’è quella che accatasta la villa come palestra ma non lo sa. Quella che non si accorge che i parlamentari della sua regione sperperano milioni pubblici in jeep, porchetta e feste cafone. E poi c’è lui – indimenticabile – che invita la gente a caso quando organizza le feste, si fa convincere da una sconosciuta che è la nipote di un capo di stato, che lei vuole aprire un centro estetico, le presta un sacco di soldi; poi una notte telefona alla polizia e la fa scagionare per evitare un caso diplomatico, infine sprona centinaia di suoi accoliti a dichiararlo pubblicamente in Parlamento. C’è gente che è stata interdetta per molto meno.
Eppure il problema è solo superficialmente quello di versioni della realtà palesemente contraffatte, improponibili, beffarde nella loro insensatezza. Il cuore della questione sta a parer mio in una prassi innovativa e sempre più in voga: negare la propria intelligenza con e nel medesimo atto con cui si nega quella degli altri, minando alla base ogni possibilità di replica e di smentita.
Il gioco è invero sottile, e affonda la radici in un terreno secolare: mi dichiaro non responsabile di determinati atti di cui sono evidentemente responsabile nel momento stesso in cui, con la mia dichiarazione di autoimbecillità, metto in discussione l’intelligenza di chi presumo possa credere alla mia incredibile versione dei fatti. Una sorta di azzeramento, quindi, di quella capacità media di intellezione ed azione che è da sempre stata al fondamento della legittimità di esercitare un potere – sia quello del cittadino sovrano che demanda, sia quello del deputato che in suo luogo regna – e che ha sempre assicurato il potere stesso nella possibilità di indicare in un certo dato di fatto un’evidenza condivisibile e discorribile.
D’altro canto, nella storia “classica” della politica occidentale troviamo principalmente cinque modalità di destituzione del potere di diritto: 1) dichiarare il leader politico pazzo o demente; 2) uccidere il leader politico; 3) segregare con la forza il leader politico; 4) segregare con la forza e uccidere il leader politico; 5) dichiarare il leader politico pazzo e poi ucciderlo. Forme differenti di azione, riconducibili tuttavia ad una sola: indicare nell’avente diritto al potere un’inabilità strutturale a controllare la sfera decisionale minima per il governo, nonché l’impossibilità di avocare a suo vantaggio quella scienza normale – per parafrasare Kuhn – che rende intellegibile il potere stesso.
Chi si attribuisce da solo questa idiozia, libera dunque il potere da un intrinseco debito verso la razionalità, e con un colpo di mano se ne riappropria prima che essa vi si riconnetta. Negando il radicamento del potere nella possibilità di un’evidenza, ci mette di fronte a una rottura che ci lascia attoniti, privi di argomenti, instupiditi. Ogni nostra possibile argomentazione in replica, d’altra parte, va a fondarsi su un presupposto paradigmatico che – sempre per dirla con Kuhn – potremmo definire incommensurabile, ovvero non proporzionabile, disomogeneo, rispetto all’irrompere inaspettato dell’autoimbecillità.
Avreste mai pensato di scalare il vertice e proprio da lì gridare al mondo la vostra inadeguatezza? No, vi è mancato il colpo di genio, appunto. E’ mancato a tutti noi di capire che ci si appropria del potere, che si rigenera il potere, solo e sempre a partire da un precedente vuoto, che preliminarmente deve essere costituito. E allora l’autodeposizione della propria intelligenza è quel gesto folle e insieme violento con cui si dichiara che tutto, compreso il potere, avviene a caso e per caso. E noi siamo lì proprio per caso, e in questa casualità troviamo la nostra legittimazione: soltanto per caso questo o quello è accaduto, per caso lo abbiamo appurato. Per caso e a caso correremo ai ripari, domani.
Simone Guidi
@twsguidi