Buona fame!L’università sotto casa ha sette vite

Chi credeva che l'istituto dell'università sotto casa, costuitosi de facto nell'ordinamemento amministrativo di fine anni '90 e primi 2000, grazie al matrimonio fra politica locale e grandeur acca...

Chi credeva che l’istituto dell’università sotto casa, costuitosi de facto nell’ordinamemento amministrativo di fine anni ’90 e primi 2000, grazie al matrimonio fra politica locale e grandeur accademica, chi pensava, dicevamo, che quell’istituto fosse morto, ucciso dalla crisi e dagli spending review, si sbagliava.

Facendo un giro nelle cronache locali si trovano, ripetute, le tracce della sua vigenza.

Armonizzandosi infatti con la stagionalità universitaria, che in questo periodo prevede il varo dei nuovi manifesti di studi, anche l’accademia dei mille campanili dà conto di sé. C’è, ed è viva. Anche se non se la passa benissimo, come del resto l’altra, ma c’è. Segnali di un passato che non vuol passare: “Qui restiamo”, sembrano dire questo notizie, anche se non “ottimamente” come i senatori romani a Veio.

Anzi suscita progetti nuovi come “Capua Città Universitaria”, con tanto di presentazione presso il salone consiliare del comune e presenza massiccia di autorità locali.

Né mancano le riflessioni sull’esistente, comunque non facile. Per cui, per esempio, “l’università e la ricerca rappresentano per la Provincia di Ragusa un elemento di cui non si può fare a meno. E’ dunque importante il mantenimento e il rilancio dell’esperienza universitaria iblea”, come avverte il deputato regionale Orazio Ragusa.

Perché non si pensi che la questione riguardi solo il Mezzogiorno, citiamo anche il convegno che il prossimo luglio sarà promosso ad Asti dal locale Consorzio Uni-Astiss in collaborazione con la Statale di Torino con un titolo significativo: “L’Università ad Asti e il futuro del territorio”. Incontro che, avverte un sito informativo “rappresenterà l’occasione per presentare i progetti futuri che si svilupperanno a partire dall’Università e che vedranno la città di Asti coinvolta attivamente in due progetti di formazione permanente promossi dalla Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie (SUISM)”.

D’altra parte non si è spenta a Reggio Calabria la soddisfazione espressa da diversi ambienti cittadini per il definitivo accreditamento, da parte del Ministero, dell’università per stranieri “Dante Alighieri” (qui il comunicato ufficiale), dopo un iter piuttosto combattuto che era iniziato nel 2007.

Reggio, che d’altra parte, grazie a una legge dell’anno scorso, è “città metropolitana” avrà così la sua seconda università, l’altra, quella statale, la Mediterranea – ché la Alighieri è privata – che esiste dal 1982, con quattro facoltà, che a Catanzaro ce ne sia un’altra, la Magna Graecia, che a Cosenza ci sia la storica Università della Calabria e, ancora, che nella vicinissima Messina ci sia un altro ateneo di lunga tradizione. Una quarta università che si inserisce in una regione con una popolazione di poco superiore ai 2 milioni di abitanti.

Di esempi se ne potrebbero fare tanti, a Nord come al Centro. Siamo infatti pieni di tentativi, più o meno riusciti, di avere ognuno la propria università sotto casa. La grande Italia dove ognuno deve avere almeno come gli altri, non importa se serve, se è sensato nel contesto nazionale o meglio internazionale, se é o potrà mai essere di qualità. Importa esserci. Abbiamo tanto bisogno di laureati come dice l’Europa? E allora sotto con le strutture amministrative, i docenti, i ricercatori, le cattedre, i corsi di laurea e via così.

Ma non vi diremo che questo non va bene. No, vi stupiremo (speriamo) dicendovi che in Italia non ci sono troppe università.

Il confronto con altri Paesi industrializzati ci conforta. Quindi? Quindi quello che vorremmo vedere é una vera suddivisione di compiti tra università. Non vogliamo dire di ispirarsi come l’India al modello dei community colleges americani di cui avevamo parlato (qui) ma forse certo qualcosa lo dovremmo pur fare.

Se pensassimo che non tutte le università debbano o possano erogate tutti i livelli della formazione?

Se provassimo a pensare che un 50% si debba dedicare solo alla laurea triennale, concentrando i propri sforzi nel colmare quei gap formativi per un mercato del lavoro locale? Forse avremmo delle università con obiettivi più chiari e un legame vero con il territorio di riferimento. Concentrare solo in alcune università la laurea magistrale e ancor più i dottorati potrebbe avere il vantaggio di focalizzare centri di ricerca e didattica senza disperdere inutilmente le già scarse risorse che abbiamo.

Le università non sono, né devono essere, tutte uguali.

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