The thin lineSalvatore Mancuso,un nome italiano, le stragi, la coca.

È datato 6 luglio 2013, l’arresto a Bogotà del “Pablo Escobar” Italiano: Roberto Pannuzzi il "broker" della cocaina affiliato alla 'ndrangheta. Ma le storie di persone approdate in Colombia e diven...

È datato 6 luglio 2013, l’arresto a Bogotà del “Pablo Escobar” Italiano: Roberto Pannuzzi il “broker” della cocaina affiliato alla ‘ndrangheta. Ma le storie di persone approdate in Colombia e divenute celebri nel mondo della violenza e della droga sono numerose, c’è la n’drangheta, ci sono i guerriglieri, e le continue caccie all’uomo, storie di ordinarie per “loro” straordinarie per “noi”. Tra tutte queste storie una merita di essere raccontata, è la storia del “capo” , del “comandante”, del “mono” con un nome e un cognome made in italy.È la storia di Salvatore Mancuso.

La storia di Salvatore Mancuso
Salvatore Mancuso è una figura leggendaria in Colombia, in Italia è quasi uno sconosciuto.
Nacque a Monteria nel dipartimento di Cordoba, il 17 Agosto del 1964. Suo padre, Salvatore, conosciuto in Colombia come “Don Salvador”, lasciò il suo paese d’origine (Sapri) cercando fortuna nello stato colombiano, non aveva nulla da perdere, se non una gran voglia di rifarsi una vita dopo la povertà partorita dalla seconda guerra mondiale.

Fu così che il 12 Settembre del 1956, approdò a Cartagena nella costa caraibica, con in mano solo 3 mila lire e il nome di un altro italiano che l’avrebbe aspettato a destinazione, Francesco D’Ambrosio.
 La storia di Don Salvador, è simile alle migliaia di storie di emigrati del dopo guerra, piene di sacrifici, dolori e grande voglia di riscatto.

“Don Salvador” riuscì con grandi sacrifici a rifarsi una vita, divenne il miglior tecnico della zona di elettrodomestici, e con il tempo riuscì ad aprirsi una attività in proprio, ricostruendo dall’altra parte del mondo, la vita che avrebbe voluto vivere nella sua Sapri.

La sua storia, a prima vista a lieto fine, raggiunge l’apice nel momento in cui sposò Gladys Gomez, una bellissima donna colombiana, ex miss Cordoba. Il giorno del sì tutto il paese si radunò attorno a loro con una processione di festeggiamenti lunga 3 isolati, un cartello recitava “El Italiano y la Reina” (L’italiano e la regina).

Esattamente un anno dopo il 28 Luglio del 1963, la comunità di Monteria festeggiò la nascita del primogenito, Giancarlo, registrato per errore Gian Carlo, a causa dell’emozione di Salvador nel momento della dichiarazione.
Quasi un anno dopo il 17 Agosto del 1964, nacque il secondogenito, don Salvador, era sicuro del nome da assegnare : si sarebbe chiamato come lui Salvatore. Voleva che un Salvatore Mancuso e non un Salvador (come da tutti veniva chiamato), portasse avanti il nome della famiglia in Colombia (chissà se ora a distanza di anni avrebbe pensato la stessa cosa).

Don Salvador toccava il cielo con un dito, negli anni successivi arrivarono anche altri figli: Cesar,Roxana,Alberto, e Antonio Fabricio.
 Ogni domenica la famiglia Mancuso invitava tutta la comunità italiana presente a Monteira per riunirsi a tavola, aveva insegnato a sua moglie a fare la “sfogliatina” così come gliela faceva anni addietro sua mamma, e subito dopo il pranzo,dopo aver bevuto il caffe e l’amaro di sua produzione, portava i due figli più grandi Giancarlo e Salvatore, al poligono di tiro per insegnar loro le fondamenta della caccia.

A Giancarlo a dir il vero non gli esaltava sparare, ma per non recare dispiacere a suo padre, seppur controvoglia, si faceva vedere entusiasta, in cambio Salvatore, amava le armi, aveva una mira superiore alla media, seppur fosse in tenerà eta.

Quando Don Salvador ordinava di rientrare a casa, i bimbi pulivano le armi, le lucidavano e le conservavano nel deposito del padre, sapendo che non le avrebbero sfiorate sino alla domenica successiva, quando dopo il caffè avrebbero ricominciato la classica routine.

Ma la felicità e la pace della famiglia Mancuso, così come di tutta Monteira presto venne soppiantata dall’arrivo di un’atroce guerra.
L’8 Febbraio del 1981, le Farc rapirono il dott.Oscar Haddad, grande amico di Don Salvador, presidente del poligono di tiro e unico medico di Monteira.

Richiesero per il suo rilascio un risarcimento milionario, il paese organizzo una raccolta fondi per aiutare la famiglia Haddad, non fu che l’inizio di un’atroce agonia. 
La guerriglia continuò a bussare sempre nelle fincas (case di campagna) di Monteria, svaligiava le case dei prodotti alimentari, chiedeva soldi, e medicine per guarire i combattenti feriti. Nel paese non regnava più la felicità di una volta, il dott.Haddad decise di mettere in vendita la sua finca e trasferirsi a Bogotà.

Don Salvador era preoccupato, ma nello stesso tempo non aveva nessuna intenzione di lasciare la sua casa, la sua terra, così decise di escogitare un piano insieme al suo amico Francesco D’Ambrosio: se la guerriglia avesse fatto ritorno, loro avrebbero risposto con le armi.

Il 3 Gennaio del 1988, la guerriglia busso alle porte della famiglia D’Ambrosio, lui rispose a tono e le conseguenze furono atroci. Il suo corpo venne appeso ancora sanguinante senza testa all’ingresso della finca, e la testa sgozzata venne consegnata dai guerriglieri direttamente in mano a Don Salvador che esausto di tutta questa situazione decise di abbandonare Monteria.

Suo figlio Salvatore, che nel frattempo, aveva lasciato la casa nativa per andare a studiare negli Stati Uniti (Pittsburg) e successivamente all’Università Javeriana di Bogotà, si ribellò alla volontà del padre, decidendo di far rientro a Monteria, per aiutare Don Salvador e la sua famiglia a difendersi dall’avanzata della guerriglia.

Al ritorno nel villaggio, Salvatore, trovò un paese totalmente diverso da quello lasciato cinque anni addietro, non c’erano solo le FARC a minacciare la popolazione, ma anche gli altri eserciti guerriglieri quali ELN ed EPL.


Secondo il suo pensiero, la via da intraprendere era solo una, unire le forze dei vari contadini affinché si creasse un esercito clandestino che avrebbe respinto con le armi la guerriglia.

Mancuso, chiese aiuto ai vari amici che aveva conosciuto nel corso degli anni, uno fra tutti Fidel Castaño, che insieme al fratello Carlos, avevano costiuito l’ACCU, un esercito contadino di auto-difesa delle terre nelle zone di Cordoba e Uraba. Per finanziare il loro esercito, Fidel e Carlos, sfruttarono delle vecchie conoscenze con i narcotrafficanti, Fidel ad esempio era grande amico di Pablo Escobar, per il quale aveva lavorato nel 1977 come trafficante di cocaina.

Carlos Castaño e la sua difesa paramilitare

I contatti con i narcotrafficanti permise il rinforzamento de loro esercito, con membri di altri gruppi armati illegali, quali ad esempio LOS PEPES, un gruppo paramilitare, creato dai narcotrafficanti, per proteggere le coltivazioni di coca, dall’avanzata della guerriglia.

Decisero così d’intraprendere una doppia via, produrre ed esportare cocaina al fine di finanziare il loro esercito anti-guerrigliero.
Nel giro di pochi anni, riuscirono così arruolare più di 2.000 persone, sotto varie sigle indipendenti di auto-difesa contadina, le quali confluirono tutte nell’Aprile del 1997 sotto la sigla di AUC (Autodefensas Unidas de Colombia).

La nascita delle Auc

Con la nascita delle AUC, Salvatore Mancuso ne divenne il comandante militare sotto lo pseudonimo de “Il Mono o Triple Cero”, i suoi compiti erano quegli di controllare la zona di Catatumbo nella frontiera con il Venezuela e conquistare l’aera del Nudo Paramillo al sud di Bolivar, territorio controllato militarmente dall’ELN.

Salvatore Mancuso con l’esercito delle Auc

Ma il business della cocaina ben presto prese il sopravvento sugli ideali anti- guerriglieri di estrema destra, divenendo l’unico pretesto per combattere una battaglia già persa in partenza.
Le AUC, si convertirono nell’acronimo di barbarie e stragi, perpetrate ai danni della stessa popolazione che in partenza si prefissero proteggere. L’unico obiettivo dei paramilitari, fu sì quello di combattere la guerriglia, ma non per salvaguardare i contadini, sennò per approvvigionarsi dei campi di coca lasciati incustoditi dalla ritirata guerrigliera.

Secondo i dati dell’associazione Nueva Arco Iris, Salvatore Mancuso, fu il responsabile della produzione di cocaina nell’area di Cordoba sin dal 1996, e nel 2004 raggiunse l’apice in termini di produzione arrivando a produrre 1300 tonnellate di pasta di cocaina l’anno.

Secondo, invece quanto lo stesso Mancuso ha dichiarato in un’intervista al settimanale colombiano Semana, le AUC, riuscivano a coltivare 160.000 ettari di cocaina all’anno per arrivare a produrre 1.000 tonnellate di cocaina.


Al di là delle cifre, come sempre discordanti, si è calcolato che il guadagno medio delle AUC, solamente considerando il traffico di cocaina, fosse di 7.000 milioni di dollari annuali.

Salvatore Mancuso riuscì a stringere svariati contatti politici, dando vita a quel fenomeno che nella storia colombiana viene chiamato “para-politica”, si ritiene ,che negli anni in cui era al comando delle AUC, riuscì a controllare politicamente metà del parlamento colombiano, ed ottenne finanziamenti da grosse multinazionali quali Chiquita Brand e Dole.

L’attuale presidente colombiano Juan Manuel Santos, è stato accusato da Mancuso di aver avuto rapporti con i paramilitari delle AUC, chiedendo all’esercito paramilitare : “di rovesciare con un colpo di stato il governo di Ernesto Samper”. Dopo lo scioglimento delle AUC, a seguito del processo di pace avviato dal presidente Uribe, sul quale pendono serie accuse circa l’effettiva partecipazione, dello stesso Uribe, alle stragi compiute dalle AUC,Mancuso venne arrestato, estradiato negli U.SA e “rinchiuso” in una prigione castello da dove tutt’oggi gestisce il suo blog e sito (http://www.salvatoremancuso.com).

L’arresto di Salvatore Mancuso

A suo cargo pendono più di 500 crimini compiuti tra i quali: (sparizione forzata, traffico illegale di armi, omicidio, rapina, incendio, lesioni personali, sequestro di persona a scopo di estorsione).

Lo stesso Mancuso ha confessato la sua partecipazione all’assassino di circa 300 civili, (tra cui anche una bambina di 22 mesi) inoltre, gli viene contestata la direzione come comandante delle AUC di vari massacri tra cui: la strage di Mapiripan (nella quale morirono 27 contadini), il massacro de El Aro (nel quale vennero assassinati 15 contadini, presunti pro-guerriglia, per il quale è stato condannato a 40 anni di carcere, mai scontati per la partecipazione alla ley de Justicia y Paz), la strage della Gabarra nel 1999 dove morirono 35 civili, e il micidiale massacro del el Salado.

Raccontare quello che è succeso nel villaggio El Salado, è un obbligo morale, per chiunque si accinga a raccontare la storia delle AUC.

La strage del El Salado

Tra il 16 e il 19 Febbraio del 2000, le AUC, sotto il comando di Salvatore Mancuso e di Jorge 40, arrivarono nel piccolo villaggio caraibico de El Salado. I paramilitari erano alla ricerca del fronte delle Farc che mesi addietro aveva deciso di accamparsi sulle montagne vicino al paesino, ricco di coltivazioni di coca.

Il villaggio El Salado
Il 15 Febbraio, gli elicotteri delle AUC, sorvolando la zona, lanciarono dei fogli avvisavano la popolazione di non appoggiare la guerriglia, avvisandoli del loro repentino arrivo. Non fu che l’inizio della strage.


Quello che è successo in quei giorni, purtroppo ancora non è ben chiaro, così come non sono ancora stati quantificati il numero dei morti. I pochi superstiti raccontano di storie che nemmeno il più tremendo film horror avrebbe mai potuto riprodurre.

Le AUC, sotto la guida di Mancuso e con la complicità dell’esercito colombiano, iniziarono una tremenda “caccia al contadino” nel piccolo villaggio. La loro colpa era solo quella di trovarsi in un territorio in cui tempo addietro avevano soggiornato le Farc.

Il giornale El Tiempo denuncia l’accaduto con il preambolo : “Viaggio nel villaggio dove sono rimasti vivi solo i cani”.

Solo tre miseri articoli, che hanno raccontato la strage, sono tutt’ora in rete, molti altri inspiegabilmente sono scoparsi dagli archivi telematici dei giornali.
Ciò che rende questa strage degna di essere raccontata, oltre al rispetto per le vittime, è la ferocia e barbaria con cui le AUC perpetrarono tale massacro.

Le storie di quei giorni sono dimenticate, così come ignoto è il numero dei deceduti. Troviamo ad esempio la storia di due vecchietti Desiderio Lambraño y José Urrueta, entrambi sulla settantina, che furono costretti a denudarsi, e ballare il “vallenato” (tipica musica caraibica), mentre i paramilitari sparavano ai loro piedi. Oppure la storia di Maria Jaramillo, una bellissima ragazza di 17 anni, che sognava partecipare al concorso di bellezza a Cartagena, venne violentata a turno dai paramilitari. Morì soffocata dal suo stesso sangue perchè costretta a stringere tra i denti un cactus.

Abbiamo la storia dei venti uomini trucidati nel campo di pallacanestro, fatti a pezzi con la motosega, per poi, durante la notte, obbligare gli altri superstiti a giocare con le teste sgozzate dei loro concittadini, chi faceva canestro era salvo, gli altri morivano sul colpo.

Il campo del Massacro

Ancora la storia di una delle poche superstiti, Maria Vargas di 15 anni, sua la testimonianza

“Mi violentarono a turno, tutti, non riesco a quantificare quanti fossero, dopo svenni e mi ritrovai in una pozza di sangue, loro mi ripetevano…: “è solo un ricordino ci siamo stancati delle ragazze di paese che trascurano i militari in combattimento”

Oppure, infine, la storia della piccola Helen Margarita Arrieta Martínez di sette anni, il padre le ordinò di fuggire il più lontano che potesse, di nascondersi, e di non gridare per non far sentire la sua voce. La povera scappò più che potette, decise di nascondersi verso la montagna, cadde ,si ruppe una gamba e rimase incastrata in una piantagione di fiori. Il suo corpo fu ritrovato solo dopo due mesi, perchè durante i primi soccorsi non ebbe mai il coraggio di urlare, morì da sola arrotolata in un campo di rose.

Il villaggio oggi, do 13 anni dalla strage, cerca di ricostruire i propri sogni.

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