In questi giorni sui giornali della Cina, Paese in cui ci troviamo per impegni professionali, domina ancora la drammatica vicenda degli studenti deceduti nell’incidente aereo della Asiana Airline, avvenuto qualche giorno fa a San Francisco. Da una parte perché ha ovviamente colpito molto l’immaginario collettivo, dall’altra perché, dopo quanto avvenuto e le polemiche seguenti, il governo locale dello Zhejiang ha deciso di sospendere ogni viaggio di studio fuori dalla Cina, pare per un anno, in attesa di cambiare le regole per queste iniziative.
Nessuno, da noi, lo immaginerebbe, a causa di uno stereotipo tutto italiano sulla Cina sottosviluppata, ma sono stati 200mila i ragazzi, a volte anche poco più che bambini che, nel 2012, sono partiti per viaggi studio all’Estero (preda spesso delle organizzazioni più improbabili, a fianco di molte locali o internazionali di tutto rispetto), con un giro di affari di circa 6 miliardi di yuan.
Gli operatori prevedono un aumento del 20% nei prossimi due anni. Nelle famiglie cinesi infatti cresce la sensibilità e l’interesse perché i propri figli possano conoscere nuove culture e nuove prospettive e i principali luoghi di destinazione, simili a quelli preferiti per gli studi universitari (ovviamente, verrebbe da dire) sono il Canada, Londra, gli Usa.
Si tratta di città che hanno messo in campo azioni di marketing, anche molto aggressive, per portare giovani studenti nelle classi anche solo per poche settimane, confidando in una buona impressione che possa poi essere ricordata nel momento di scegliere studi universitari fuori dalla Cina.
I viaggi di questi ragazzi sono molti controversi anche all’interno dello stesso sistema cinese. In primis per la loro brevità e organizzazione non sempre paiono avere seri effetti educativi, almeno rapportati al costo che sostengono le famiglie (circa 32mila yuan, 5.200 dollari americani per 20 giorni in Canada). In Cina però è usuale indebitarsi o addirittura cambiare residenza per mandare a una buona scuola i figli e, di conseguenza, se la vacanza-studio è percepita come un plus formativo, non ci sono dubbi di sorta.
Per l’Italia il discorso sarebbe lungo. I viaggi di istruzione sono vissuti come un’enorme complicazione e ridotti a blitz caciaroni in qualche capitale europea. Periodo più prolungati vengono totalmente rimessi all’intuito e ai mezzi delle singole famiglie.
Esperienze più strutturate, come il quarto anno di secondaria superiore all’Estero, con tanto di “visto” ministeriale, risultano spesso, e stupidamente, sconsigliate, se non ostracizzate, anche da presidi e insegnanti.
E allora pensiamo alla Cina. Che non è più “vicina”, come recitava il titolo di un famoso lungometraggio di Marco Bellocchio negli anni ’60, ma ci ha superato. Anche in questo.