Passate poche ore dall’intervista del Corsera a Francesco De Gregori, le sue parole – come tutti si aspettavano – hanno sollevato un vespaio di polemiche, perlopiù alimentate da chi si è sentito chiamato in causa o toccato dalle affermazioni di FDG.
Uno dei primi a scagliarsi contro il cantautore è stato il pretoriano pentastellato Andrea Scanzi, in un post scritto con lo stile che l’ha reso celebre – per l’inconfondibile pochezza di argomentazioni e il manicheismo esasperato, si intende. Chiama De Gregori «Boccia Man» e pochi minuti dopo, non pago, si affida alla sua inesauribile verve ironica: «Si può sopravvivere a tutto, ma quando diventi l’idolo dei Polito e Battista vuol dire che nella vita (politica) hai sbagliato quasi tutto». Meglio essere il delfino di Travaglio, a quanto pare.
Ad aggiungersi al lancio di strali ci ha quindi pensato Gad Lerner in un post sul suo sito, “Francesco De Gregori, quante banalità!“, in cui si propone di fare l’esegesi del testo dell’intervista di Cazzullo ma finisce per concludere con «di fronte a simili pennellate di nulla, non si sa davvero che dire, se non evidenziare la similitudine con una produzione musicale altrettanto noiosa e sopravvalutata». Abbastanza piccata, per essere un’analisi del testo.
Poi sono arrivati i deputati renziani del PD che, molto acutamente, invece di approfittare delle riflessioni di De Gregori e farle proprie rispondono con una lettera aperta di dubbia utilità pratica, chiedendo all’autore di Rimmel di non disinteressarsi della politica ma, nei fatti, opponendosi alle sue considerazioni con caustiche frecciatine.
Un tacchino. Non sul tetto.
Per finire, il capolavoro: Giuseppe Civati risponde al cantautore con quello che credo di poter definire il post più indispettito che abbia mai letto sul suo blog. Dice: «È tutto il giorno che mi chiedono una risposta a De Gregori». E riesce nell’impresa inconcepibile di ribaltare e rispedire al mittente l’affondo del cantante sulla sinistra che non fa la sinistra, scrivendo tra l’altro ciò:
Faccio timidamente notare che la sinistra italiana di chi come De Gregori ha votato Bersani e Monti sta già con Marchionne più che con Landini, vuole cambiare la Costituzione con Quagliariello, non ha posizioni radicali sull’Ilva, ha fondato i comitati Sì Tav, non si preoccupa di avere qualcuno a sinistra, non ha voluto fare un governo sostenuto dal M5s. Non ha proprio nulla di cui lamentarsi, De Gregori, insomma. Perché la sinistra italiana, che non gli piace più, ha già seguito tutte le sue indicazioni. E infatti ha vinto.
Ovviamente non deve trattarsi dello stesso Civati che Bersani l’ha sostenuto fino al governo Letta, altrimenti invece che di bipolarismo ci toccherebbe finire a discutere di disturbo bipolare. Non capisco: chi ha votato Bersani sta con Marchionne? Allora Civati sta con Marchionne? Numi, ma allora è di destra!
Ora, tenendo conto che Bersani il governo sostenuto dal M5s l’ha cercato fino al suicidio politico (e Civati – l’altro Civati, intendo – con lui) e che il partito di Beppe Grillo, mai minimamente intenzionato a fare un governo col PD, è allineato sulle posizioni ben espresse l’altro giorno dal deputato Angelo Tofalo, chiediamo in coro: che sta dicendo, dissidente Pippo? Essere di sinistra è adeguarsi ai tempi o perpetuare patti di sindacato e battaglie populiste di facciata mentre i lavoratori (se così fortunati da potersi chiamare tali) faticano a tirare avanti? Essere di sinistra è riformare il mercato del lavoro e la burocrazia o denunciare i disegni malevoli del club Bilderberg e chiedere la sovranità della moneta?
Il giochino messo in piedi dai vari Scanzi, Lerner e Civati è sempre lo stesso: far passare chi la pensa diversamente per un infiltrato di quelli al di là delle barricate. Un mezzuccio che non dovrebbe avere voce in capitolo nel 2013, peraltro divisivo e controproducente, ma che riesce ancora a far abboccare all’amo tante di quelle «anime belle» cui si riferisce De Gregori, convinte che il problema del PD sia non essere abbastanza di sinistra (di quella sinistra concepita dalla «ditta», ovviamente). Quando Bersani, che oggi sta così antipatico ai puristi civatiani, parlava di tacchini sui tetti e giaguari – e la sinistra invece di fare opposizione seria si perdeva nei teatrini sull’acqua pubblica – con la «ditta» c’era il dissidente che oggi non le risparmia picconate.
Siccome l’unico modo di affrontare la questione sollevata dall’intervista pare essere quello del posizionamento ideologico, aspettiamo che i soloni in questione ci raccontino come deve vincere il centrosinistra e perché non ha vinto finora – è chiaro che loro, a differenza di un anziano cantautore, lo sanno. Se per convincere gli indecisi deve affidarsi al deputato monzese – quello 2.0, la versione anti-apparato che vuole blindare la stessa strategia politica dell’apparato – o a qualcuno che, come dice De Gregori (e qui nè Civati né gli altri sono stati in grado di obiettare alcunché) «provi piuttosto a dire qualcosa di sensato, di importante, di nuovo. Magari scopriremo che è anche di sinistra». Non si riferiva certo, caro Pippo, a frecciatine en passant come «Berlusconi queste cose le dice meglio».