ControTempoE se anche i tortellini vanno oltreoceano?

Il rapporto piange: si stima una differenza di 6 anni e qualche spicciolo. Sei anni, il tempo impiegato per un infante per uscir dal grembo della madre e muovere i primi passi nel sociale nelle scu...

Il rapporto piange: si stima una differenza di 6 anni e qualche spicciolo. Sei anni, il tempo impiegato per un infante per uscir dal grembo della madre e muovere i primi passi nel sociale nelle scuole dell’infanzia; ciò che si necessita per un intero corso di laurea in medicina. Insomma, in 6 anni trascorre un tassello importante di una vita ed è il periodo di differenza che è vissuto tra un autorizzazione concessa in Illinois, a Chicago, e una dovuta in Italia, a San Giovanni Lupatolo.

Il protagonista della vicenda è GianLuca Rana, amministratore delegato della ben nota industria di pasta fresca e figlio di quel Giovanni che mugugna felice nel veder ubicata, nel centro dell’azienda, quello scintillio del motorino rosso che lo scorrazzava nel trasportare la pasta fresca preparata dalla moglie. Ora, cinquant’anni dopo, l’azienda a conduzione familiare fattura 374 milioni di euro nel 2011 e quel motorino è rappresentazione fenomenica di orgoglio e di qualche sghignazzo entusiasta.

Per il marchio di famiglia non sembra esserci crisi. La nuova frontiera erano gli Stati Uniti, colonizzati nella piccola distesa di Bartlett, a Chicago in Illinois dove nel 2011 GianLuca ha intensificato i contatti per agevolare l’internazionalizzazione dell’impresa (già operante in 37 paesi). Successiva a Chicago, il Made In Italy ha scommesso anche su un ristorante a Chelsea Market, nel cuore di Manhattan e non ha intenzione di fermarsi potendo disporre anche di un finanziamento di 90 milioni comune a Intesa SanPaolo e Unicredit. «Questo darà una accelerazione alla strategia di sviluppo per essere i numero uno della pasta fresca negli Stati Uniti» fu il commento del brizzolato amministratore delegato alla chiusura della trattativa che ha imbastito una nave da battaglia per dar sportellate a Nestlè che, titolare del marchio Buitoni, è leader nel settore.

L’azienda è detentrice di sette stabilimenti in Italia che donano lavoro ad una quantità immane di persone e la costruzione dello stabilimento a Bartlett, di 14mila metri quadrati tramite investimento di 80milioni di dollari per due terzi autofinanziato, ha previsto l’assunzione di 100 nuovi lavoratori. Sotto la responsabilità della famiglia Rana vivono 1200 famiglie dislocate tra l’Italia e il mondo e GianLuca brama di non fermarsi, perchè il suo “focus non è un milione di margine ma costruire futuro”.

In questo senso si colloca lo snodo della faccenda: l’inaugurazione del nuovo stabilimento a San Giovanni Lupatolo da 18mila metri quadrati è coincidente a quello simmetrico a Bartlett. L’impianto tecnologico e di produzione è lo stesso con una superficie occupata quasi identica. La falla si trova nella tempistica dei lavori. Se i contatti con Pat Quinn, governatore dell’Illinois, sono iniziati nel 2011 e terminati un anno dopo, GianLuca Rana ha dovuto ansimare dal 2005 con l’inerme burocrazia italiana per mandare avanti tutto l’iter. Ogni passo era una conquista, come le tre settimane di attesa per porre la firma del funzionario Comunale incaricato del sopralluogo conclusivo poichè non possedeva l’auto di servizio: il pullman non prevedeva rimborso, altre strade non erano contemplate e la situazione appannò per quasi un mese. Poco meno di un mese per un atto giuridico durato in sè poco meno di una sveltina. In Illinois tutto l’iter procedurale ha necessitato di contemplazione per soli 15 giorni, alla fine dei quali hanno preso inizio i lavori per 24 ore no stop, considerate le temperature siberiane che a Chicago si registrano in inverno.

Addirittura il teamwork d’azienda aveva programmato affinchè i lavori terminassero entro il 2014. La realtà parla di un anticipo di due anni con il management stupito per l’efficienza dimostrata. Si stima entro l’anno di raggiungere i 100 milioni di fatturato, con l’obiettivo di tripicarli nei prossimi anni e raggiungere così la quota di mercato che permette alla famiglia Rana di spadroneggiare nella penisola e al di fuori.

Questo nel mentre in Italia non è ancora chiara una definizione dell’articolo 18, passato ormai sotto la coltre del tappeto del soggiorno quando, oggettivamente, squali assetati di notizie dibattevano su una sentenza pendente ad un imprenditore, sceverano sul risultato della sentenza stessa e si macereranno sulle conseguenze che essa procaccia ad un governo ormai pendente. Esatto, la figura predominante è quella di un imprenditore, in questo caso GianLuca Rana che, coadiuvato dal padre, è costantemente vigile nella ricerca di nuove opportunità e nuovi mercati da divorare. Baumann avrebbe chiosato il tutto con la sua solita espressione da “capitalismo parassitario”; che possa esser vero! Di parassitario qui c’è un progetto rimasto in standby per sei anni, molti dei quali passati a trastullarsi e porre 5mila firme. A Chicago ne sono servite 4995 e 6 anni in meno. I posti di lavoro sono gli stessi, l’impianto uguale, la differenza sostanziale. Marchionne nei giorni scorsi, corrucciato, disse che in Italia è impossibile far impresa. Se lo sostiene l’ad dell’impresa marchio italiana, perchè remargli contro? Si può dissuadere un investitore a portar capitale e lavoro qui invece che altrove? Sarei curioso di parlare a quattr’occhi con Thohir prima di tacciarlo per temerario senza scrupoli.

Il gioco vale la candela?

Twitter: @luigi_dalbo

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