BelfagorEgitto, la violenza come trappola per gli islamisti

  It only gets worse from here Issandr El Amrani The Arabist, August 14, 2013 Si potrebbero porre un migliaio di domande circa la violenza che ha scosso l'Egitto, dal motivo per cui la polizia ha ...

It only gets worse from here
Issandr El Amrani
The Arabist, August 14, 2013

Si potrebbero porre un migliaio di domande circa la violenza che ha scosso l’Egitto, dal motivo per cui la polizia ha deciso di attaccare, e con tanta brutalità, i sit in islamisti dopo aver dato speso tante energie in una attenta pianificazione la scorsa settimana, se gli attacchi alle chiese e i cristiani più in generale scoppiati in reazione sono parte di una reazione programmata in anticipo o la direzione settaria che incontrollabili tensioni politiche prendono nei momenti di crisi. Ma la domanda che mi inquieta veramente è se questa escalation è programmata al fine di creare una situazione che inevitabilmente innescherà altra violenza – essendo questo l’obiettivo desiderato.

Il difetto fondamentale del colpo di stato 3 luglio, e la ragione per cui quei manifestanti venuti fuori il 30 giugno contro l’amministrazione Morsi hanno sbagliato a appoggiarlo, è che tutto ciò si basa su un’illusione. Tale illusione, almeno nel campo liberale che si sta attirando tante critiche in questi giorni, è che anche un parziale ritorno del vecchio ordine a guida militare potrebbe offrire la possibilità di riavviare il passaggio che ha preso una tale piega sbagliata dopo la caduta di Hosni Mubarak l’11 febbraio 2011. Questo campo credeva che una riforma graduale, anche di natura molto meno ambiziosa di quella che desideravano nel 2011, sarebbe stata più probabile adattando il vecchio ordine che non permettendo a quello che percepivano come un accordo tra i militari e gli islamisti di mantenersi. Meglio concentrarsi sulla stabilizzazione del paese, in particolare della sua economia, e impedendo a Morsi di provocare l’affondamento completo, e correre il rischio che una parte del vecchio ordine potesse tornare.

In questa visione, una graduale trasformazione del paese poteva avvenire preservando la stabilità politica attraverso le forze armate. Avrebbe dovuto essere negoziata e combattuta, come tante transizioni democratiche in altre parti del mondo sono state, ma il vecchio ordine avrebbe avuto bisogno del talento e della competenza di una nuova classe tecnocratica, e in ultima analisi politica, per produrre e migliorare la governance. La loro speranza era che gli islamisti avrebbero capito di aver perso questo round, e che essi avrebbero potuto essere gestiti in qualche modo, mentre un nuovo ordine più liberale emergeva. Questo, in sostanza, era quello che Mohamed El Baradei e altri liberali contavano di ottenere alla data del 3 luglio, senza dubbio sinceramente, e ciò che tanti altri al di fuori della politica formale fervidamente auspicavano: non la rivoluzione voluta dai radicali, ma un più saggio, più tollerante, ordinamento del paese.

Purtroppo, all’interno del vasto campo liberale in Egitto, coloro che hanno intrattenuto tali speranze sono una minoranza. Anche nel Fronte di salvezza nazionale, come la sua oscena dichiarazione che lodava la polizia oggi ha dimostrato, i più sembrano aver apprezzato l’opportunità di schiacciare i Fratelli Musulmani ed sono parsi credere che gli altri islamisti avrebbero potuto semplicemente scegliere di essere schiacciati a fianco di essi, piegarsi al nuovo ordine , o essere spinti indietro nel quietismo. Sembra che la maggior parte degli operatori economici e dell’elite tradizionale – rappresentata politicamente dagli egiziani liberi e dal partito Wafd tra gli altri – rientri in questa categoria. A essi si unisce l’establishment della sicurezza, o lo Stato profondo, se si preferisce.

Nell’ultima settimana si è molto parlato di divisioni tra questo segmento e quei simbolicamente importanti membri liberali del governo, come El Baradei, sull’opportunità o meno di negoziare con i Fratelli o distruggere il loro sit-in. Il campo, che alla fine ha vinto non solo crede non vale la pena negoziare con i Fratelli. Vogliono incoraggiarli nel loro discorso settario provocatorio, i suoi sostenitori sono per la violenza, e per un campo islamista spinto il più possibile a collocarsi fuorilegge. Coloro che nutrono tale impulso di eradicazione non vogliono tanto in realtà sradicare fisicamente tutti gli islamisti quanto metterli in una situazione in cui sarà sradicata la loro esistenza politica perché avranno optato per la violenza. Essi sono disposti a sopportare quella violenza, anche un ritorno alla contro-insurrezione degli anni 1990, e di attacchi settari e terroristici sporadici, perché credono che rafforzerà il loro campo e permetterà loro di espellere definitivamente la maggior parte islamisti dalla politica. Questo è il motivo per cui a mio parere analisi come questa che sostengono che una tale insurrezione non è più possibile siano sbagliate: non solo è possibile, ma è voluta.

Il loro pensiero è cinico nei casi estremi, non diversamente dalla spinta di Bashar al-Assad verso la militarizzazione del conflitto politico da lui fronteggiata nel 2011. Essi sono disposti a convivere con la violenza, l’impatto sull’economia, e altri aspetti negativi, se si rafforza il loro potere e legittimità. Un campo islamista che, come elementi di esso stanno in modo evidente cominciando a fare, dà fuoco a chiese e attacca stazioni di polizia è un fattore che diventa molto più facile demonizzare nazionalmente e internazionalmente. Ma è anche molto più imprevedibile del violento movimento islamista egiziano endogeno degli anni 1980 e 1990, perché vi è un contesto di un movimento jihadista globalizzato che a malapena esisteva allora, e perché la regione nel suo complesso è in fermento e i confini egiziani non sono quasi così controllati come erano allora (e la Libia di oggi è un vicino molto meno affidabile rispetto anche a quanto l’erratico colonnello Gheddafi era allora.)

Nella loro strategia contro il colpo di stato del 3 luglio, i Fratelli e i loro alleati hanno fatto affidamento su una implicita minaccia di violenza o di disgregazione sociale (e la frustata del loro campo attraverso il discorso settario volto a stigmatizzare il colpo di stato come una guerra contro l’Islam, comodamente assolvendo se stessi per la loro responsabilità per un anno disastroso), combinata con la nozione di legittimità democratica, vale a dire che essi erano, dopo tutto eletti e che, anche se popolare, quello era ancora un colpo di stato. Su quest’ultimo argomento, potrebbero aver guadagnato un po’ di terreno nel corso del tempo, sia in patria che all’estero. Ma sul primo, stanno ottenendo una reazione molto, molto diversa: i loro avversari saluteranno con favore la violenza retorica e reale messa in atto, e la useranno per coprire la propria.

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