In medias resFacebook e la rotellona delle diapositive

Ho questo ricordo, piuttosto vago, della mia infanzia. Una coppia di amici dei miei genitori, marito e moglie, che al ritorno da ogni vacanza estiva, irrompevano in casa nostra per mostrarci (io er...

Ho questo ricordo, piuttosto vago, della mia infanzia.
Una coppia di amici dei miei genitori, marito e moglie, che al ritorno da ogni vacanza estiva, irrompevano in casa nostra per mostrarci (io ero escluso da questo rituale), nel corso di una serata, le diapositive delle loro avventure all’estero.
La presentazione avveniva tramite l’ausilio di un proiettore sul quale si installava l’ormai mitico rotellone caricato a diapositive.

Così passavano sul telo bianco (o sul muro) i momenti giudicati come più rappresentativi dell’intera esperienza.
Non ricordo bene, purtroppo, il contenuto delle diapositive e mi è quindi difficile farne un’analisi testuale. Ricordo però piuttosto bene il terrore dei miei genitori e l’alea di esperienza soporifera che girava intorno a questo rituale.
Si trattava, in effetti, di un momento un po’ troppo perfettamente coreografato, un po’ troppo lontano da quella spontaneità tanto apprezzata dalla società borghese. Le fotografie, stampate e adocchiate velocemente come un mazzo di carte, erano decisamente più appetibili, più godibili, meno strutturanti. Il proiettore di diapositive dettava tempi, spazialità, atteggiamenti…era un momento di cinema minus lo spettacolo professionalmente organizzato, quindi una noia poderosa dopo i primi dieci minuti.

Il mazzo di fotografie era anche più facile da gestire come strumento generatore di invidia.
La coscienza borghese, fissata con prestazioni, prezzi e obiettivi, trasforma facilmente, quasi naturalmente, un viaggio in un oggetto di status. Le fotografie non sono altro che il simulacro esperienziale di uno status e lo stesso mostrarle non è che il momento finale del percorso aspirazione-lavoro-raggiungimento-realizzazione.

Il diavolo, si dice, sta nel dettaglio. In questo caso sta nel generale, nella bird’s eye view e, fondamentale, nell’etichetta. Un posto va mostrato in campo largo e, possibilmente, deve portare più segni caratteristici della sua controparte reale, altrimenti c’è il rischio che ci si confonda. Questa montagna è tibetana, ma potrebbe essere scambiata per il Monte Rosa; questo mare azzurro potrebbe essere Posillipo o le Mauritius…

E poi ci sono i simboli. Dell’esotico, del lusso ma, soprattutto, dell’esclusivo, la parola magica che denota perfettamente il valore borghese primario: è qualcosa riservato a pochi eletti, che proprio perché pochi (ed eletti) hanno vinto una competizione (più o meno esplicita) con tanti altri.
Quindi le camere d’albergo, le hall, le spiagge bianche, le barche a vela, i drink, le colazioni imponenti…

In ultimo le facce, le espressioni. Se dovessi definirle in breve parlerei di estremi di un gradiente, assenza di compromessi, tipi ideali portati all’estremo: il composto, il gioioso, il buffo, il bellone…
In uno scenario così correttamente realizzato non ci si può permettere di cadere sui protagonisti, proprio loro, ergo ci si affida agli stereotipi hollywodiani, il borghese medio sa che qui non sbaglia mai.

E allora dal rotellone delle diapositive siamo arrivati a Facebook che realizza il sogno di ogni fotografatore borghese.
Potendo fotografare sempre e ovunque la selezione è ampia (e quindi di qualità).
Potendo commentare e nominare non si rischia l’equivoco imbarazzante.
Potendo condividere non si rischia che gli amici si fingano impegnati per schivare il rotellone.
Siamo tranquilli che il nostro investimento sta fruttando. Tutti sanno dove siamo stati, quanto era esclusivo e quanto ce la siamo goduta.
Tutti sanno, per il teorema borghese, che ce lo siamo meritati.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club