Sul settimanale tedesco Der Spiegel negli ultimi giorni di luglio è stato pubblicato un articolo molto critico sul nostro Paese: “Basta “La Casta: No End in Sight to Italy’s Economic Decline” scritto da H.J. Schlamp (Basta ‘La Casta’: No End in Sight to Italy’s Economic Decline) .
L’articolo sottolinea l’immobilismo della classe politica italiana (come dargli torto?), la mancanza di riforme ed evidenzia i problemi della nostra economia: il declino viene definito come inarrestabile. Nell’ultima parte dell’articolo aleggia un interrogativo: l’Italia dovrebbe “ritirarsi dall’euro”? A corredo dell’articolo vi sono durissimi commenti dei lettori: gli italiani come i greci, gli italiani parassiti ecc. Questo articolo testimonia un’opinione molto diffusa nel mondo tedesco, con una tendenza sempre più feroce ad evidenziare i problemi e i difetti dell’Europa mediterranea.
Ma questa campagna di stampa è funzionale anche ad una precisa strategia: nascondere i vantaggi tedeschi dietro la sottolineatura degli errori degli altri. E con tale strategia i tedeschi nascondono anche i propri problemi. Sappiamo che la Germania ha tratto enormi vantaggi prima dal Sistema monetario europeo e poi dall’introduzione dell’euro: ha ottenuto una svalutazione reale del marco – lo segnalavano già molti anni fa economisti come Augusto Graziani e Jean Paul Fitoussi – favorendo le loro esportazioni e la loro politica neo-mercantilistica che non guarda in faccia nessuno.
In questi mesi un’azienda meccanica di Parma, una di quelle dove famiglia ed impresa sono tutt’uno, ha vinto una importante commessa per la fornitura di macchinari ad una multinazionale americana superando la concorrenza tedesca: ci hanno provato in tutti i modi i tedeschi ma il prodotto italiano è risultato migliore, “tagliato su misura”. Sempre in un’azienda di Parma, che da alcuni anni è confluita in un gruppo internazionale, verranno spostate le produzioni inglesi e tedesche: perché la produttività della fabbrica italiana è più alta. C’è ancora nei nostri territori una capacità del fare, un’arte della manifattura di assoluta eccellenza.
Gli imprenditori e i manager che lavorano con la Germania conoscono bene i loro punti di forza ma anche le rigidità tedesche. Tempo fa un direttore finanziario di una azienda emiliana mi ha raccontato che un manager della propria controllata tedesca si era mostrato scocciato nel fornire i dati richiesti in quanto era venerdì, ed il venerdì pomeriggio in Germania si stacca presto dal lavoro ! Al contrario nelle imprese della Via Emilia non si vede affatto il lassismo di cui ci accusano. Non si vede quella che i media tedeschi definiscono la “mollezza mediterranea”.
Dietro le critiche tedesche vi è una verità molto semplice: in molti settori siamo tra i più temibili concorrenti della Germania. In un interessante articolo dello scorso gennaio Marco Fortis sottolineava che abbiamo
<< un “quarto capitalismo” di imprese medie e medio-grandi che sta facendo miracoli. Secondo l’indice Fortis-Corradini della Fondazione Edison, su circa 4.000 prodotti scambiati internazionalmente e statisticamente censiti, l’Italia ne vanta oltre 2.000 che presentano un surplus di bilancia commerciale e in 1.217 di essi il nostro Paese precede per attivo la Germania presa come benchmark. Tali 1.217 prodotti in cui “battiamo” i tedeschi nel 2011 hanno espresso un surplus con l’estero di ben 151 miliardi di dollari (pari al 6,9% del nostro Pil). Nel mondo solo la Cina può fregiarsi di un maggior numero di casi in cui è più competitiva della Germania>>.
Il Der Spiegel dovrebbe leggere attentamente gli studi di Marco Fortis o quelli di Fulvio Coltorti.
Con la crisi che si è abbattuta sull’Italia, sono le nostre imprese e i nostri lavoratori a pagare il conto. La disoccupazione italiana ha raggiunto tassi altissimi. La Germania si avvantaggia di una “concorrenza sleale”: da loro non c’è il credit crunch, mentre in Italia le banche non prestano o prestano poco. Siamo nella stessa moneta: ma lo Stato italiano paga interessi molto più alti. E non solo lo Stato ma anche le imprese italiane sono costrette ad indebitarsi a tassi più elevati. I tedeschi inoltre sono pronti ad essere severi (e feroci) censori degli errori dell’Europa mediterranea. Ma le regole spesso valgono per gli altri, non per loro. Si pensi alla questione dell’unione bancaria europea che i tedeschi stanno da tempo rallentando ed ostacolando: non vogliono che si veda nei conti delle loro banche, piene di scheletri negli armadi. Zingales di recente ha evidenziato che <<l’unione bancaria non è un complotto per caricare sulle spalle dei tedeschi le perdite delle banche del Sud Europa che dichiarano bancarotta, ma un meccanismo per costringere tutte le banche (comprese quelle teutoniche) a farsi carico dei propri errori… E’ tempo che gli elettori tedeschi capiscano che le cicale più grandi stanno nel centro delle loro città>>.
Non possiamo illuderci, pertanto, che siano i tedeschi ad aiutarci, né a farci uscire dalla grave crisi economica in cui si trova il nostro Paese.
Si possono scomodare antiche questioni filosofiche: aveva ragione Alberto Savinio? Egli sintetizzava mirabilmente che <<la Germania ha un’idea europea, ma è di una Europa sua propria, di una Europa germanizzata, di una Europa costruita con materiali tedeschi e animata dallo spirito germanico >> . Ma i tedeschi non ci aiuteranno e non ridurranno il cappio delle politiche di austerity per un motivo meno metafisico e molto pratico: non hanno interesse ad aiutare i loro principali concorrenti industriali. Dietro l’ortodossia monetaria tedesca si nascondono anche motivazioni più subdole ma di grande portata strategica: l’egemonia industriale in Europa.
Dobbiamo uscire dalla crisi con le nostre forze. E questo governo dovrebbe avere una grande priorità: sostenere il nostro sistema manifatturiero. Questo risultato si ottiene anche trovando il coraggio di puntare i piedi sul tavoli europei.
@Giov_Fracasso
* Articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 15 Agosto 2013.