In un paese come il nostro, sempre tragicamente occupato a discutere di temi troppo scottanti, si perde spesso l’importanza delle piccole cose. Ci si dimentica, ad esempio, di un palo – per la precisione un segnale stradale – installato su via del Plebiscito, a Roma; proprio quel palo che gli organizzatori della manifestazione non autorizzata di domenica hanno letteralmente rimosso dal marciapiede per fare spazio al palco – abusivo – dal quale Silvio Berlusconi ha tenuto il suo comizio.
A quel palo, invece, oggi più che mai, dovremmo prestare attenzione, poiché rappresenta una straordinaria metafora del nostro paese. Estirpato, vandalizzato, abbattuto senza pietà sulla via – maestra – del Plebiscito, quel cartello divelto racconta come pochi altri un’Italia rimossa e sradicata dalla sua strada, dai suoi percorsi naturali, dilaniata per lasciar spazio al costante chiacchiericcio dei politicanti, ai loro palcoscenici colorati, alle bandiere sventolate e issate sulle rovine fumanti della nazione. Quel palo, reciso di netto alla base, è quanto di più prossimo ad un paese segato in due dalle guerre intestine tra potenti, dai personalismi esasperati, scisso dall’ignoranza storica, antropologica e persino geografica dei suoi amministratori.
Nondimeno, quel palo rappresenta l’indifferenza con la quale, nel nostro paese, la cosa pubblica viene abbassata al rango di oggetto privato, e così vilipesa e calpestata. La sua violenta rimozione è la cruda testimonianza di una terra nella quale ciò che appartiene a tutti è inevitabilmente alle mercé del più forte, indifeso, razziato, letteralmente divorato da una logica predativa e antisociale, che considera i beni pubblici come oggetto di espropriazione e che conseguentemente abbandona le scuole in rovina, depreda gli ospedali pubblici, distrugge con le sue stesse mani le istituzioni basilari del vivere comune.
Nella recisione brutale di quell’insegna – un segnale stradale, una regola pubblica abbattuta senza esitazioni per l’interesse privato di un singolo – si cela poi, malamente occultata, quella visione violenta e distorta della libertà che ha, negli ultimi vent’anni, desertificato l’Italia. Esso è ora, infatti, il testimone credibile di un’ideologia per la quale ogni ostacolo, ogni legge, ogni articolazione dello Stato può esser espunta da chi ne ha la forza senza il dovere di dar conto ad alcuno: niente palo, nessuna legge, nessuna punizione.
Quel palo parla dunque, per altre vie, di una stagnazione del potere inquietante e decadente, che fa del livellamento del dibattito, della delegittimazione dell’interlocutore, della rimozione forzosa il più diffuso strumento di conservazione del consenso, e la massima espressione della libertà del singolo. Libertà che tuttavia, è principalmente quella – vandalica – di abbattere, segare, ferire, snaturare senza scrupoli l’intero circondario allo scopo di issare l’impalcatura dalla quale proclamare le proprie insindacabili verità. Quel palo è così, insieme, un Parlamento ostaggio da anni delle vicende personali di un singolo cittadino, un sistema produttivo nel quale il rinnovamento è accolto con sospetto, un’accademia paralizzata alla base, una società patologicamente incapace di accogliere la variazione, inevitabile, di alcune sue strutture fondamentali.
Allora, io dico, l’Italia guardi con attenzione a quel palo, e apprezzi in profondità il sensato atto di Marino: farlo immediatamente ricomparire al suo posto, denunciare chi si è permesso l’oltraggio, non lasciare il gesto senza conseguenze.
E’ dalle piccole cose che nascono grandi disastri, nelle piccole occasioni che si riaffermano i principi. E’ nei piccoli segnali – in certi casi anche quelli stradali – che a volte si svelano le verità più importanti.
Simone Guidi
@twsguidi