Evidenziare i vantaggi che la Germania ha conseguito con l’euro non vuol dire sminuire i grandi problemi italiani. Che sono antichi ed hanno radici lontane. Ma non si può non prendere posizione di fronte alla tesi – o all’auspicio – che circola in questi giorni secondo cui dopo le elezioni tedesche la Merkel, sicura vincitrice, “sarà più buona”e le politiche di austerity verranno stemperate.
Chi sostiene queste posizioni sottovaluta la complessità del quadro europeo e non considera che dietro l’ortodossia della Bundesbank non vi è una miopia, ma la difesa, precisa e costante, di una posizione di forza. Una posizione che la Germania si è conquistata con tenacia nell’Unione Monetaria Europea.
A questo punto occorre chiedersi in modo chiaro e schietto se oggi gli interessi tedeschi coincidano con quelli dell’Europa. Partendo dall’evidenza dei nuovi rapporti di forza che si sono creati in Europa nell’ultimo decennio. La parità di status tra Francia e Germania non c’è più, l’Europa mediterranea è sempre più schiacciata dalla crisi economica. L’Inghilterra sempre più defilata. C’è una nuova configurazione europea. Del nuovo quadro europeo, del nuovo status quo ha fatto una lucida analisi Lucio Caracciolo su Limes, la rivista di geopolitica, nel numero “L’Italia di nessuno”.
E’ la Germania il Paese leader nella nuova Europa. La forza tedesca si è dispiegata con successo all’interno della cornice della moneta unica. Questa forza emerge in modo netto anche per la debolezza delle istituzioni europee e per i contrasti tra i singoli Stati.
Negli anni Cinquanta mio nonno è vissuto in Belgio tra Liegi e Charleroi dove lavorava. Tra i tanti suoi racconti ricordo che parlava delle scampagnate primaverili nelle foreste sulle colline delle Ardenne, foreste che erano piene di relitti militari della seconda guerra mondiale. Cosa c’entrano le Ardenne con l’euro?
Dopo la fine della prima guerra mondiale alla Germania furono imposte pesanti condizioni dal Trattato di Versailles. Ma negli anni Trenta i francesi temendo il riarmo tedesco cominciarono a pensare ad un imponente sistema di fortificazioni lungo i confini con la Germania, il Lussemburgo e l’Italia. Un insieme di fortificazioni integrate con corridoi sotterranei, depositi per le munizioni: era “la Linea Maginot”. Questo complesso venne pensato in funzione di una guerra statica, che si combatteva duramente nelle trincee, proprio come era avvenuto nella prima guerra mondiale. Era il fiore all’occhiello del sistema difensivo francese e per costruirla vi impiegarono oltre 10 anni. Questa maestosa e complessa linea di difesa era ritenuta insormontabile dai generali francesi e in particolare da Maurice Gamelin.
Dopo la veloce conquista della Polonia i generali tedeschi nel 1940 puntavano al fronte occidentale ma erano consapevoli che un attacco diretto alla linea Maginot avrebbe richiesto numerose truppe e, soprattutto, avrebbe impegnato l’esercito tedesco in una battaglia lunga molti mesi. Occorreva trovare una soluzione che aggirasse le fortificazioni. Il piano di invasione tedesco sul fronte occidentale venne pianificato dal generale Erich von Manstein: furono appostate delle truppe lungo la linea Maginot come diversivo e il 10 maggio del 1940 la Wehrmacht invase il Lussemburgo, l’Olanda e il Belgio: in pochi giorni le forze tedesche raggiunsero le sponde del fiume Dyle. Ma anche l’operazione nelle Fiandre era una manovra diversiva: l’attacco principale fu svolto a sorpresa creando una via nella foresta della Ardenne, ritenuta dal comando militare francese impenetrabile e non percorribile dalle divisioni corazzate tedesche.
Il generale Heinz Guderian – teorico della guerra lampo – il 13 maggio 1940 alla guida del 19º Panzerkorps, composto da sole tre divisioni corazzate, effettuò lo sfondamento decisivo sulla Mosa a Sedan: non aspettò l’arrivo delle divisioni di fanteria di supporto e con un abile manovra riuscì a incunearsi tra i due Gruppi d’armata francesi. Guderian avanzando rapidamente il 20 maggio aveva già raggiunto la Manica. Con un’operazione velocissima le truppe francesi furono ingabbiate in una tenaglia micidiale e la linea Maginot aggirata. Il corpo di spedizione inglese riuscì miracolosamente a imbarcarsi a Dunkerque ma l’esercito francese fu sbaragliato: i tedeschi in pochi giorni avevano fatto un milione e duecentomila prigionieri. La Francia firmò presto l’armistizio.
Sono pagine di storia conosciute. E sono pagine tristi.
Nonostante questo insuccesso enorme, nell’establishment francese il modello della linea Maginot è rimasto come un retaggio ancestrale, è rimasto nell’inconscio anche cinquant’anni dopo.
Con il collasso del blocco sovietico mentre partiva il processo di unificazione tedesca le cancellerie europee furono in forte fermento. La Germania unita spaventava. E soprattutto in Francia dilagava la germanofobia. Roland Berger, in una recente e interessante intervista su Il Sole 24 Ore, ha detto una cosa molto chiara e che in molti pensano: l’euro è entrato in funzione troppo presto. Si doveva aspettare ancora un po’ e, soprattutto – aggiungo io – occorreva modificare quelli che oggi vengono evidenziati come “difetti di struttura”. Ma l’accelerazione sulla moneta unica fu voluta dai francesi e dall’entourage di Mitterand. Bisognava imbrigliare la Germania nella nuova costruzione europea. L’abbandono del marco (la cui solidità era il simbolo della rinascita tedesca nel dopoguerra) fu un dramma per l’intera Germania e solo la forza e l’autorevolezza di Kohl riuscirono a far digerire al popolo tedesco un tale passaggio.
L’euro nelle menti dell’establishment francese doveva essere una nuova linea Maginot. Ma i francesi, gonfi nella propria grandeur, sottovalutarono ancora una volta la potenza tedesca: la Germania riunificata ha dispiegato tutta la forza del proprio “sistema Paese” . L’euro si è rivelato non un “tavolo tra eguali” ma un’arena competitiva. E i tedeschi in questa arena hanno giocato molto bene la loro partita.
La loro politica “mercantilistica” è stava la chiave di volta di questo disegno strategico. Le aziende tedesche hanno riposizionato le loro catene produttive in un nuovo spazio economico che dalla Polonia arriva fino alla Turchia. La Germania si è mossa alla conquista dei nuovi mercati emergenti instaurando uno straordinario ponte commerciale con l’Asia. Il grande surplus nella bilancia commerciale che la Germania ha accumulato nell’ultimo decennio testimonia il successo della loro strategia.
E’ innegabile che una Germania così forte in un’Europa così debole preoccupi. E crei apprensione anche al di là dell’Atlantico. Ha suscitato un acceso dibattito l’articolo di Timothy Garton Ash pubblicato sulla The New York Review of Books. Ash, senza cadere in sterili polemiche antitedesche, ha parlato in modo chiaro e netto di una nuova questione tedesca.
“There is a new German question. It is this: Can Europe’s most powerful country lead the way in building both a sustainable, internationally competitive eurozone and a strong, internationally credible European Union? Germany’s difficulties in responding convincingly to this challenge are partly the result of earlier German questions and the solutions found to them. Yesterday’s answers have sown the seeds of today’s question”.
Nell’Europa degli ultimi anni è saltato il bilanciamento di poteri. La Commissione è sempre più evanescente. La Bce riesce a fatica ad ottenere dei margini di manovra. La Bundesbank è il controaltare di ogni scelta economica ed ha di fatto esautorato gli altri poteri.
Può la Germania rilanciare l’Europa e stemperare il proprio progetto di egemonia in una Europa più forte e più prospera? E’ ormai un’utopia pensare ad una Germania più europea?
Nel bellissimo libro “Pensiero Meridiano” il sociologo Franco Cassano afferma che “la civiltà tedesca è una civiltà teocratica, il cui Dio è <<la Germania stessa>>”. Partendo da questa consapevolezza quali risposte si possono dare alla questione tedesca?
Può lo spirito tedesco contribure in modo fecondo e decisivo a costruire una Europa “non a misura della Germania”?
Heidegger nella Introduzione alla metafisica affermava:
“Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo, il popolo tedesco, in quanto collocato nel mezzo, subisce la pressione più forte della morsa; esso è il popolo più ricco di vicini e per conseguenza il più esposto, è insieme il popolo metafisico per eccellenza”
Come si possono bilanciare, dunque, gli interessi tedeschi con quelli dell’Europa unita? C’è una evidente dicotomia tra gli interessi tedeschi e quelli del resto dell’Europa.
Come si può risolvere questo dilemma che ha radici antiche? Non si può affrontare la questione tedesca pensando a nuove linee Maginot. La storia insegna che non funzionano. Occorre affrontare la questione in modo profondamente diverso.
“Germany – continua Ash – therefore needs all the help it can get from its European friends and partners. Only together can we generate the policies and institutions, but also that fresh breeze of poetry, to get the European ship sailing again”.
Forse la soluzione per risolvere questo dilemma è in una fredda considerazione di Henry Kissinger che Timothy Ash riporta nel suo articolo: la Germania è “Too big for Europe, too small for the world,” troppo grande per l’Euopa troppo piccola per comandare nel mondo.
Per questo Ash ha perfettamente ragione quando afferma che “The answers to this new German question will not be found by Germans alone”.
@Giov_Fracasso