Questo post è un contributo al dibattito nato a seguito di quanto scritto da Riccardo Puglisi sulla gerontocrazia sessantottina.
Divertendomi a spulciare alcune statistiche (tutti i grafici sono ottenuti con dati ISTAT) ho cercato di capire meglio come la generazione di cui faccio parte risulti penalizzata. Ovviamente sono tutte considerazioni di carattere generale, e ci sono centinaia di casi di successo della mia generazione come di sessantottini che non se la passano per nulla bene. Quindi:
E’ davvero tutta e solo colpa dei sessantottini?
Tanto per cominciare, come dividiamo le generazioni? Analizzando il primo grafico, che indica l’evoluzione della popolazione italiana negli ultimi 10 anni, direi che possiamo collocare lo spartiacque sui 40 anni, in quanto da tale età si vede il cambio tra generazioni in crescita ed in calo. E a pensarci bene è un dato che ha senso, ovvero sono i figli della generazione ‘68. Questo comporta che numericamente le generazioni successive al ‘68 siano penalizzate.
Ovvero i sessantottini (anche per questioni legate alla guerra) erano numericamente superiori alla generazione precedente, ma le loro scelte procreative hanno decisamente invertito questa tendenza. (non sto qui a discutere se sia un bene o un male, o i motivi, lo prendo come dato empirico). E’ il noto “effetto piramide inversa”.
Il secondo grafico mostra infatti come invece nelle decadi precedenti i rapporti generazionali fossero inversi:
Abbiamo quindi un problema di tipo numerico, ovvero le giovani generazioni sono per la prima volta numericamente inferiori alle precedenti. In questo senso un inatteso alleato potrebbe essere l’immigrazione, la cui distribuzione anagrafica è “vecchio stampo”:
E’ evidente tuttavia che questo possibile aiuto è socialmente, culturalmente e politicamente in fieri e non certo privo di complessità. Ma è anch’esso un dato numericamente innegabile.
Vi è poi un altro aspetto che, a mio avviso, pesa molto. E’ quello legato all’istruzione.Premetto che per semplicità prenderò in considerazione solo l’Università e i dati a partire dal 1960. Iniziamo con una curiosità: negli anni successivi al ’68 il numero dei fuori corso è diminuito (arrivando quasi a dimezzarsi) per poi tornare inesorabilmente a salire, fino a raggiungere il suo massimo quando all’Università arrivarono i figli del 68 (la mia generazione).
Qui posso testimoniare che in quegli anni (quelli pre riforma 3+2) l’utilizzo dell’Università come “parcheggio” raggiunse il culmine. Serviva il “pezzo di carta”, a qualsiasi costo, e mamma e papà si guardavano bene dal togliere il figlio dall’Università, a costo di farlo laureare ultratrentenne.
Nel grafico successivo si evidenzia l’effetto della riforma 3+2:
Se al permanere pargheggiati, uniamo il fatto che la successiva riforma ha prodotto migliaia di nuovi “laureati”, si può ben capire che la lotta più che tra generazioni, è diventata prima ancora all’interno di una generazione a basso livello di istruzione. Ovvero girano più “pezzi di carta”, ma valgono molto meno. L’effetto “guerra tra poveri”, con le ben note conseguenze sul mercato del lavoro.
Aggiungiamo una considerazione anche sulla tipologia di laurea:
Da quando sono nato, più o meno, sento dire che abbiamo bisogno di più lauree di tipo scientifico. Guardando i dati invece, si nota come (a parte una crescita negli anni ‘80, dovuta in gran parte ad un exploit di Medicina, oggi di nuovo in difetto), poco sia cambiato. Per cui abbiamo una generazione con titoli che valgono meno e poco richiesti dal mercato. Ed in tutta onestà qui vedo poche responsabilità dei sessantottini.
Riassumendo, siamo in presenza di una generazione (quella con meno di 40 anni) numericamente inferiore, meno qualificata, “bambocciona” (non discutiamo di chi siano lo colpe, se di figli, genitori o società) chiusa da chi l’ha generata.
Come si esce da questa situazione? Posto che la questione numerica non sia superabile (a meno di non ricorrere alla clonazione e non potendo ancora contare sulle nuove generazioni immigrate), si dovrebbe lavorare sulle altre due (più qualità e migliore scelta delle competenze) per acquistare maggiore indipendenza e quindi minore sudditanza dalle generazioni successive. Mi rendo conto che sia più facile a dirsi che a farsi, ma non ci sono vie facili per ottenere risultati.
Infine, una minoranza (perché tale è la mia generazione) è tanto più forte quanto più è unita. Poiché dal “nemico” bisogna anche imparare, dico che i sessantottini han saputo fare muro (certo aiutati dal contesto mondiale dell’epoca) e successivamente lobby. La generazione under 40 invece è dispersa, e non ancora in grado di produrre leader capaci di unire tutte le forze. Finché questa situazione resterà tale, saremo in balia delle generazioni precedenti. E la scelta sarà tra la cooptazione, aspettando la naturale dipartita di chi precede, e la vana attesa di una autorottamazione che non ci sarà.
Ricorda mica qualcosa?