TemporaliaL’insostenibile leggerezza della grazia

Forse abbiamo capito perché era così tranquillo, prima della sentenza, rinserrato a Palazzo Grazioli con Francesca Pascale, Ghedini, il cane Dudù e altri simpatici figuri. Ora lui, Silvio Berlus...

Forse abbiamo capito perché era così tranquillo, prima della sentenza, rinserrato a Palazzo Grazioli con Francesca Pascale, Ghedini, il cane Dudù e altri simpatici figuri. Ora lui, Silvio Berlusconi, chiederà la grazia a Giorgio Napolitano. Neppure: la reclamerà, giacché il messaggio suona già chiaro. O la grazia o la fine immediata della legislatura di scopo, di quell’estrema creazione a cui il Presidente ha consegnato le sue speranze per l’Italia, legando indissolubilmente queste ultime al destino del Cavaliere.

Già, perché accettando – e convincendo il Partito Democratico ad accettare – l’abbraccio di Silvio, Napolitano sapeva che questo avrebbe significato consegnare nelle mani di Berlusconi le sorti del paese, farne un tutt’uno con le sue disavventure giudiziarie, politiche e persino umane. Ma non ha esitato: non c’era il tempo – forse – o non si è voluto dare tempo, ed eccoci oggi a registrare la possibilità concreta che il cortocircuito istituzionale posto in essere da Berlusconi nel tentativo di diluire nei procedimenti politici i dibattimenti giudiziari tocchi il suo apice.

Cosa succederà infatti ora, se la richiesta a Napolitano di una grazia dovesse farsi più concreta e insistente?

Napolitano potrà concedergliela, rivelando di fatto la subalternità politica e istituzionale della massima carica dello Stato rispetto al suo principale ricattatore. O potrà non concedergliela, lasciando che Berlusconi stesso, gridando al complotto giudiziario, sottragga il suo sostegno al governo Letta.

E in questo secondo caso, se Letta dovesse cadere per il rifiuto di Napolitano, quest’ultimo cosa farà?

Si dimetterà, forse, come ha promesso di fare nel caso in cui fosse venuto meno il governo di larghe intese, lasciando che un paese intero, privato completamente di una direzione istituzionale, assista alle dimissioni di un Presidente della Repubblica che dipendono direttamente dai capricci personali di un capopartito? O non si dimetterà, subendo ancora una volta l’umiliazione di doversi fare carico della situazione – ormai senza via d’uscita – di vuoto politico della nazione?

Se garantendo in prima persona il governo Letta Napolitano si è trasformato, come dicono alcuni, da Presidente a re, la situazione che si profila somiglia da vicino a ciò che negli scacchi si definisce, appunto, come “scacco al re”. Una situazione potenzialmente di stallo, inaudita e gravissima, che rischia di paralizzare quella già immobile macchina istituzionale che il governo di scopo avrebbe dovuto rendere snella, efficace, attiva fin dal primo giorno.

È quindi inutile negarlo. Grazie all’autoannientamento del PD il destino dell’Italia è precipitato negli ultimi mesi nelle mani di due sole persone, Napolitano e Berlusconi. Utopico pensare che non si giunga a uno scontro diretto, che tutto si possa risolvere prima della deriva, che il linguaggio e il tempo della politica possano frapporsi tra i due, ed evitare un conflitto già in nuce. E questo perché l’uomo, Giorgio Napolitano, che ha ricevuto dalle contingenze storiche la massima possibilità di manovra istituzionale mai vista dalla nascita della Repubblica, ha deciso consapevolmente di dividerlo con l’uomo, Silvio Berlusconi, che nella storia del paese ha piegato al massimo grado quelle contingenze storiche stesse, al fine di manovrare le istituzioni a suo piacimento.

Ora – spiacente dirlo – comunque vada la schiena di questo paese non è pronta a sopportare anche questo peso. L’insostenibile leggerezza di una grazia.

Simone Guidi
@twsguidi

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