Che all’interno del Partito comunista cinese si sia da tempo aperto un dibattito sulle prospettive di riforma politica del “socialismo con caratteristiche cinesi” è dimostrato dalla recente pubblicazione di due editoriali che, sulla questione, presentano soluzioni opposte. Forse parlare di “spaccatura ideologica” è esagerato – la natura socialista del sistema socio-produttivo cinese non è messa in discussione – ma occorre tenere presente che ci troviamo di fronte a soluzioni presentate da organi ufficiali del Pcc: lo Study Times, legato alla Scuola centrale del partito, e il più noto Quotidiano del popolo.
Il primo chiede al Partito di essere abile nel condurre una riforma politica ormai giudicata indispensabile. Il percorso delineato prevede tre diverse fasi per una durata complessiva – a quanto pare – decennale: nella prima uno sforzo triennale dovrebbe essere rivolto alla riforma della pianificazione dello sviluppo economico e sociale; nella seconda il lavoro, sempre triennale, si concentrerebbe sul miglioramento del sistema della democrazia socialista, sullo stile di leadership e di governo; nella terza e ultima – non è indicato un termine definito – spetterebbe al Partito dimostrare con i fatti che in una società socialista è possibile costruire una democrazia di più alto livello.
L’intervento ospitato sul Quotidiano del popolo è teso soprattutto a mettere in evidenza rischi e pericoli legati al cosiddetto “costituzionalismo” e ad una conseguente riduzione della centralità del Partito. Per la voce ufficiale di quest’ultimo ci troviamo di fronte ad un’idea diffusa con l’aiuto di fondazioni affiliate alle agenzie di intelligence statunitensi (l’esempio citato è quello della Fondazione Ford). Pure la nozione di “socialismo democratico” è stata diffusa durante la guerra fredda come arma ideologica nella lotta contro il totalitarismo. Entrambi, alla fine, hanno contribuito al crollo del comunismo in Unione sovietica. Considerazioni queste che ricordano quelle che Xi Jinping, segretario del Pcc e presidente della Repubblica popolare, aveva espresso nel febbraio del 2013 in una riunione a porte chiuse con i funzionari di partito: il mantenimento della purezza ideologica e la fedeltà ai valori del socialismo come antidoto per evitare quanto accaduto a Mosca.
Un percorso di riforma simile a quello delineato da Study Times era stato evocato in precedenza anche da Yu Keping, vice direttore della redazione e traduzione della presidenza del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e professore di politica all’Università di Pechino. Il suo approccio allo sviluppo della democrazia socialista e allo stato di diritto è all’insegna del pragmatismo – potremmo dire del denghista “attraversare il fiume a piedi scalzi sui sassi” – ed è racchiuso nella formula dei “Cinque Corretti” la cui base di partenza resta la leadership del Partito comunista. I passi indispensabili sono rappresentati dalla lotta a fondo contro la corruzione dei pubblici funzionari, l’approfondimento della democrazia all’interno del partito e di quella a livello di comunità di base fino alla introduzione, dal basso verso l’alto, di processi elettivi e di elementi di concorrenza, il tutto istituendo un organo centrale decisionale ad hoc che coordini il processo di riforma e implementi veri e propri progetti pilota. Nella “road map” di Yu Keping la tappa principale per l’avvio del processo – il cui fine ultimo è la garanzia dell’ordine e dell’armonia sociale – è rappresentata da una maggiore democrazia interna al Partito che vada oltre il semplice processo consultivo.