Parlare con i limoniCase popolari: più danni che vantaggi?

Quest’articolo prende spunto da un’esperienza reale, avendo molti amici che vivono nelle case popolari. I loro appartamenti fanno parte di un immenso complesso di dieci torri. Ogni torre ha almeno ...

Quest’articolo prende spunto da un’esperienza reale, avendo molti amici che vivono nelle case popolari. I loro appartamenti fanno parte di un immenso complesso di dieci torri. Ogni torre ha almeno sette piani e insieme alle altre torri formano una sorta di muraglia invalicabile che domina il paesaggio. Le piccole finestre quadrate, tutte uguali e allineate, lo fanno somigliare sinistramente ad un alveare.

L’alveare è un mondo a parte. Segue regole e convenzioni tutte sue. I benpensanti evitano di passare da queste parti, specie la notte. Ci sono aiuole, dove l’erba cresce alta e saracinesche calate quasi nessuno vuole aprire un negozio qui. Eppure i pochi che ci sono non sembrano andar male, la gente dell’alveare trova comodo fare acquisti sotto casa. Basta appunto sapersi adeguare alle regole dell’alveare, adattarsi a qualche “stranezza”, non chiedere e non stupirsi.

E chi vive qui non avendo altra scelta, si adegua.
Si adegua, ad esempio, ad avere il proprio portone senza il vetro. C’era in origine ma poi era stato frantumato. Lo avevano riparato e di nuovo frantumato. Riparato e frantumato. Insomma, alla fine, i condomini stanchi di dover pagare ogni volta per quel vetro hanno deciso di lasciar perdere. E il vetro non c’è più da tempo. Spesso a sfasciare il vetro erano gli stessi abitanti di quella torre. Hanno dimenticato le chiavi o sono arrabbiati per qualcosa. Vandali persino con le loro cose. Forse perché non le sentono veramente proprie.

Ogni tanto il sonno dell’alveare viene scosso dal rombo degli elicotteri e dalla luce di un potente riflettore. È il segnale: è in corso un blitz della polizia. La gente si sveglia, capisce e poi si barrica in casa, aspettando pazientemente che tutto finisca. Periodicamente le forze dell’ordine irrompono da queste parti per stroncare qualche crimine, in genere giri di droga ma è capitato anche armi o denaro riciclato. Gli sbirri sanno già i nomi delle api cattive: quando hanno le prove, scatta il blitz. Poi con la luce del giorno l’alveare aggiorna i suoi elenchi: quanti sono i nuovi in carcere, quanti ai domiciliari, quanti quelli che se la sono, ancora una volta, cavata.

Non racconto questo per pasoliniana retorica. Tutt’altro. In un suo reportage sulla periferia napoletana, Giorgio Bocca scriveva: “Dicono che le teste d’uovo che l’hanno costruite abbiano commesso degli errori: i sette edifici giganteschi dell’edilizia popolare che arrivano al quattordicesimo piano, ma non hanno ascensori, non hanno negozi e neppure luoghi di riunione. Dei monumenti da abbattere.”

Ci saranno sicuramente delle buone eccezioni ma, in genere, l’architettura popolare ha prodotto soprattutto mostri. Ognuno può pensare agli alveari della propria città. Enormi complessi in cui addensare il più alto numero possibile di esseri umani. Senza calcolare le minime conseguenze sociali e culturali. Perché l’importante per la politica è stato sempre dare un tetto. Ogni tetto consegnato era un voto conquistato. Forse era anche giusto così. Ma a che prezzo?

Non dico niente di nuovo, affermando che le zone popolari (le famigerate zone “167”) sono zone difficili, le più difficili di ogni città. Sono popolate da tante brave persone ed è stupido avere pregiudizi verso chi vive da queste parti. Ma non si può neanche negare che in questi quartieri, spesso gli onesti sono costretti ad abbassare la testa alla prepotenza e alla vigliaccheria (pensiamo al fenomeno delle case occupate e sottratte con la forza e con l’inganno a molti anziani) o comunque imparare a convivere con la delinquenza e la piccola criminalità. Ed è straordinariamente facile per chi vive in questi contesti, imboccare la strada sbagliata. Quando nel tuo orizzonte, non c’è niente oltre l’alveare, quando nella tua famiglia o nel tuo vicinato questo è l’unico esempio che ricevi non riesci neanche a comprendere l’esistenza di un’alternativa. Qualcuno si salva con lo studio o la cultura, ma non tutti hanno la forza e gli strumenti per studiare e capire l’importanza della scuola.

Provo a lanciare una provocazione: considerato che, di fatto, gli alveari si sono dimostrati l’origine di notevoli problemi e spesso non riescono neanche a sanare l’emergenza casa, non sarebbe più opportuno e vantaggioso un cambio radicale delle politiche abitative? Se ad esempio i milioni che vengono spesi nella costruzione di queste case fossero investite nel sostenere in maniera adeguata le spese per l’affitto? Chi rientra attualmente nelle fasce per la casa popolare, anziché ottenere la casa avrebbe invece un sostegno per pagare l’affitto dell’abitazione in cui vive. In questo modo si eviterebbe la creazione di ghetti e di orribili mostri e magari si darebbe anche un sostegno non indifferente all’economia (ne guadagnerebbero anche i proprietari delle case). Anziché addensare i “casi” in un unico alveare, li si spalmerebbero su tutto il territorio comunale. Una politica di questo genere sarebbe davvero sbagliata, scandalosa e classista?

twitter:@fabio_990

(NdR: Le “torri” nella foto non hanno nulla a che vedere con gli episodi che ho raccontato)

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