Questo post, se fosse un articolo, e se io fossi un grande giornalista, si sarebbe potuto intitolare “Lettera ad una generazione mai nata”. Il riferimento al libro di Oriana Fallaci è evidente, ma mi guardo bene dal considerarmi un giornalista (figuriamoci grande). Rende però bene lo spirito con cui mi accingo a scrivere della mia generazione, facendo seguito al precedente post, ovvero con un certo pessimismo. Come il bambino del libro, anche la mia generazione non nascerà mai?
Piccola introduzione: ho diviso in due parti il post, che, mi scuso, potrà risultare un pochino lungo per via della seconda parte, nella quale ho inserito una serie di grafici, sempre ottenuti con i dati delle serie storiche ISTAT. Questi mi servono per confrontare la generazione che ho genericamente definito Under 40 rispetto alle precedenti, quelle dei 68ttini. E’ evidente che si tratta di una semplificazione brutale, ma ritengo sia abbastanza corretta ipotizzando che una generazione copra 20-25 anni, e lasciando tranquilli i minori di 15 anni. Per questo Under 40 contro tutti. E vedrete che i numeri confermano questa impostazione, direi oltre ogni ragionevole dubbio.
Parte prima
Tutti i numeri che espongo in questo e nel precedente post sono funzionali a chiarire alcuni dati di fatto, e soprattutto evidenziare che le differenze con le generazioni precedenti sono profonde.
Questo per comprendere il contesto del tutto nuovo in cui ci troviamo. Fermo restando che quanto scrivo è generale, e che come in tutte le medie ci sono decine di casi specifici diversi, le valutazioni vanno necessariamente fatte per la maggioranza. Magari tentando di modificare il trend, se e dove serve. Anche perché non sono per nulla autoassolutorio, e alla mia generazione imputo molte colpe.
Siamo una generazione di bamboccioni? Innegabile. E’ tutta colpa nostra? Tutta no, i genitori ci hanno messo sicuramente del loro. Esempio più eclatante la questione “pezzo di carta”. Senza laurea non eri nessuno. Quindi continui cambi di facoltà, fuoricorso prolungato tutto spesato. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Però noi in casa ci stiamo comodi comodi.
Non vogliamo prenderci responsabilità? Direi che è abbastanza vero. Fuggire dal matrimonio, fuggire dal diventare genitori (al netto dei problemi economici, che onestamente non rappresentano in molti casi la motivazione principale) sono indicatori potenti di questo tipo di atteggiamento. La preferenza va nettamente ad Happy Hour, vacanze e serate con gli amici. Il che non è assolutamente un male, fino a quando non diventa la tua ragione di vita.
Siamo una generazione di precari? Qui il discorso è più complesso e giocano due fattori principali. Da un lato siamo impreparati (vedi post precedente). Pare assurdo, ma abbiamo una quantità dei famosi pezzi di carta totalmente inutili. E ce ne accorgiamo troppo tardi. E non è solo vero che manca il lavoro, perché i 4 milioni e passa di immigrati regolari in Italia negli ultimi anni sono qui per lavorare. Magari ci si sposta da Sud a Nord, e al sud il posto da badante/infermiere c’è, e lo prende un’Ukraina. Ma qui torniamo spesso e volentieri alla questione bamboccioni.
Siamo “chiusi” dalle generazioni precedenti? Lo siamo. E lo siamo perché siamo pochi e quindi contiamo poco elettoralmente. Lo siamo perché le 24.000.000 di pensioni a 10.000 €/a sono un fortino ben difeso. Considerando che i pensionati sono ca 16 milioni, significa che ognuno è mediamente titolare di 1,5 trattamenti pensionistici e che ci costa 16.500 €/a. Sono chiaramente dati medi, ma che fanno capire quale sia la rilevanza di chi percepisce e di chi difende questo gruppo di interesse e di chi sta per entrarci. Onestamente non ha più senso parlare di diritti acquisiti, bensì di privilegi acquisiti.
Perché la mia generazione non si muove? Stiamo bene così? Siamo troppo abituati ad avere chi ci rimbocca le coperte, ad essere giustificati e perdonati per ogni cosa, ad avere mamma e papà (e nonni) pronti ad ogni evenienza? Diciamolo, era (è) bello essere certi di poter fare affidamento sui genitori, sulla protezione degli adulti. Da piccoli. Ma ora che siamo grandi? Cerchiamo la cooptazione. Per trovare un lavoro, per fare carriera. Non vogliamo spostarci troppo, per non lasciare amici e parenti. O lo facciamo solo se costretti. Dimenticavo, giriamo molto il mondo, ma per divertirci in vacanza.
In questi giorni mi è capitato di leggere, in risposta alla questione “rottamiamo i 68ttini”, che anche noi dovremmo “fare un ‘68”. Ora, a parte i giudizi politici sul ’68, vorrei capire come. Perché fiorisca un movimento di quella portata servono leader, idee (per non dire ideali), libri, intellettuali e artisti di riferimento. Magari di portata mondiale. Permettete la banalizzazione, ma c’erano i Beatles, oggi abbiamo gli One Direction. E mi fermo qui con gli esempi per carità di patria, ma sarei felice di essere smentito.
Che fare allora? Siamo destinati a passare senza lasciare segno, schiacciati da colpe nostre e non nostre? Probabile, non saremmo né la prima né l’ultima generazione della storia a subire questa sorte. Ma senza ambire a sogni di gloria, possiamo perlomeno migliorare la nostra situazione? Ovviamente individualmente sì. Ma globalmente? Abbiamo una fortuna, che spesso dimentichiamo. Siamo nati e viviamo in uno stato democratico. Un po’ scassato, ma pur sempre democratico (e a chi parla di regime mandatelo a Cuba da cubano). Se sapremo valorizzare chi porta innanzi le nostre istanze allora ce la possiamo giocare. O almeno possiamo provarci. Altrimenti saremo sempre in balia di altri portatori di interesse, se non altro più numerosi di noi.
Ce la possiamo fare? Non ho una risposta, so solo che se non ci provi, difficilmente le cose accadono.
Parte seconda
Siamo veramente dei bamboccioni? Per rispondere, partendo dall’assunto che si diventa “adulti” nel momento in cui sposandosi si esce di casa, ho confrontato le età a cui ci si sposava dal 61 fino ai giorni nostri, sia per gli uomini che per le donne:
Direi che i grafici non lasciano dubbi. A partire dagli anni 80, l’età media del matrimonio è cresciuta in modo esponenziale nella fascia 30-39, per decrescere allo stesso modo nelle età inferiori. E’ del tutto evidente quindi che rispetto ai nostri genitori noi siamo diventati autonomi molto più tardi. (I dati si fermano al 2009, e sappiamo che non sono migliorati ma peggiorati).
A conferma di questo, un altro grafico significativo, ovvero l’età in cui si diventa mamme. Il grafico è in percentuale sui nati. Coerentemente con i grafici precedenti (e con l’esperienza di tutti i giorni) l’età media si è innalzata molto oltre i 30 anni, mentre nelle generazioni precedenti tutto avveniva molto prima.
Il tutto, alla fine, si traduce necessariamente in famiglie più piccole, composte da single o con al più un figlio in tarda età, contro famiglie precedenti più giovani e con più figli.
Altro aspetto a mio avviso interessante. La nostra generazione si muove poco. Anche se si parla molto di “fuga di cervelli”, nuova emigrazione e simili, i dati non paiono confermare questo fenomeno, certamente non nelle dimensioni che hanno coinvolto le generazioni precedenti. In questo grafico sono rappresentati i valori assoluti di chi ha lasciato l’Italia e di chi è tornato, con in verde il delta. Come si può vedere dagli anni ’60 il fenomeno è in decrescita, ma era 4/5 volte quello che coinvolge la mia generazione:
Un fenomeno che invece non è cambiato molto è quello della migrazione interna, ovvero delle regioni in Italia. Da sempre le regioni del Sud e le Isole presentano un tasso negativo, abbastanza speculare a quello positivo di quelle del Nord. Certo sono cambiati i valori assoluti, ma il fenomeno resta.
Tuttavia la popolazione cresce ovunque. Questo grazie agli immigrati, che arrivano ovunque, anche nelle regioni a tasso di migrazione interno negativo. Come visto nel post precedente, negli ultimi 20 anni sono aumentati moltissimo. Da dove provengono, chi sono? Qui la risposta:
Ca 20 ani fa i più presenti erano Francesi, Americani e Tedeschi. In brevissimo superati di slancio da Albanesi e Marocchini, oggi a loro volta surclassati dai Romeni che fanno la parte del leone (oltre il 20%), con Cinesi e Ukraini che seguono in classifica.
Infine, due grafici per me fondamentali. Il primo dice che tipo di attività facevano i nostri genitori e cosa facciamo noi:
Il secondo è il cappio al collo delle nuove generazioni, e rappresenta il numero di pensioni annue erogate e l’importo medio di queste. Tenete a mente questi numeri: 25.000.000 di pensioni a 10.000 €/a, per una spesa complessiva di 260.000.000.000 €: