Ovvero le cose in comune tra Dexter e Karl Popper, passando per una sparatoria, Max Aub e Immanuel Kant.
La violenza è sempre condannabile, ci mancherebbe. Alcune volte però può portare a riflettere su altro, e strapparci addirittura un sorriso. Ci è riuscito Max Aub, con il suo delizioso “Delitti esemplari”, ci riesce Dexter nell’omonimo telefilm cult, puntualmente lo fa Tarantino nei suoi film, piuttosto che Stanley Kubrick in Arancia Meccanica. Chi non ha mai desiderato un po’ di “latte e mescalina” alzi, colpevolmente, la mano.
Certo, abituati agli indecenti e volgari delitti di croncaca per il furto di quattro spiccioli, a scopo sessuale, per l’appartenza religiosa, per una stupidissima e insipida partita di calcio, la notizia di una sparatoria tra due giovani a causa di una discussione filosofica, è una di quelle notizie che segna il passo e che porta in sé un barlume di speranza.
La storia è questa: due ragazzi ventenni di Rostov, nella Russia meridionale, hanno iniziato a fare due chiacchiere, scoprendo così di avere una passione comune per Kant. A quel punto hanno iniziato a snocciolare le rispettive argomentazioni sul filosofo della «Critica della Ragion Pura», ma i toni della conversazione si sono subito fatti accesi e uno dei due, per terminare la questione dibattuta con estrema “ragion pratica”, ha tirato fuori una pistola scacciacani e ha sparato in testa all’altro (che è vivo. Tramortito, ma vivo).
Due considerazioni sul caso. La prima la definirò “problema dell’opinione”: paradossalmente si è disposti a morire per le proprie opinioni, piuttosto che per le certezze dimostrate. Non chiedetemi perché, ma è così: è più facile mettere a repentaglio la propria vita per qualcosa in cui si “crede”, piuttosto che per qualcosa di oggettivamente dimostrabile. Motivo per cui, ancora una volta, la scienza ha un notevole vantaggio sul resto: essa infatti non è una opinione filosofica o un racconto letterario; quando un teorema è dimostrato, non si può decidere di non crederci, o dire che non ci piace. Sarebbe come se uno dicesse che non “crede” al teorema di Pitagora: liberissimo di farlo, naturalmente, ma non può poi pretendere di essere preso seriamente, o di non essere seriamente preso in giro.
La seconda: il “problema della demarcazione”. In cosa consiste? È una teoria dovuta a Popper, filosofo che come nessun altro ha influenzato il modo in cui gli scienziati fanno scienza. Secondo lui infatti, è possibile distinguere tutte le teorie in soli due tipi: quelle sbagliate, poiché testate e rifiutate, e quelle che ancora non sappiamo se possono essere “falsificate”, ma che potrebbero esserlo. Ironicamente quindi, qualsiasi cosa che non presenta una serie di condizioni sotto le quali è possibile considerarla falsa è una ciarlataneria, o un esercizio filosofico, o pura retorica. Perché? Perché è impossibile confutarla.
Così paradossalmente, un qualsiasi Mago Otelma o politico o interprete di scritture religiose, può sempre trovare una ragione che si adatti agli eventi passati spiegandoli, dicendo per esempio che «l’ascendente di Mercurio c’era, ma non troppo come ipotizzava», oppure che «la congiuntura economica si è rivelata essere peggio del previsto per cause esterne», oppure che bisogna guardare “allo spirito” delle Scritture piuttosto che alla “lettera”, mentre altre volte va bene la “lettera” e non le interpretazioni, a seconda della pezza che si prova a mettere al ragionamento fallace che si intende puntellare.
Ad esempio, la differenza tra la fisica newtoniana e l’astrologia consiste in questo aspetto beffardo: la fisica newtoniana è scientifica perché ci ha permesso di falsificarla grazie alla relatività di Einstein, mentre l’astrologia non lo è perché non offre condizioni sotto le quali potremmo definirla falsa. E infatti, milioni di persone continuano a “crederci”, senza motivo. O meglio: ci continuano a credere perché ognuno può trovare il “suo” personale motivo per spiegare perché le cose non accadono come previsto.
Ecco allora che il problema “dell’opinione” e quello della “demarcazione”, permettono di cogliere una prospettiva molto simile a quella che Dexter si trova ogni volta a fronteggiare quando sceglie le sue vittime: il suo personalissimo “codice di Harry”. Il ragazzo russo amante di Kant, se lo meritava lo sparo in testa solo perché sosteneva una certa opinione? Forse no. O forse se lo meritavano entrambi, per lo stesso motivo, essendo opinabile l’uno agli occhi dell’altro.
Assodato che è comunque più affascinante rischiare la vita per una questione filosofica (il che fa sperare perlomeno in una escalation culturale degli episodi di micro criminalità, piuttosto che per giovani milionari tatuati che rincorrono in mutande una palla, rimane il fatto che quando si ha a che fare con le opinioni è sempre un rischio esporsi, come racconta lo stesso Aub: “Lo uccisi perché era idiota, perfido, scemo, tardo, stupido, mentecatto, ipocrita, ignorante, burino, buffone, gesuita, a scelta. Una cosa si accetta, due no”.