’O pernacchioIn viaggio sulla Mehari per ricordare Giancarlo Siani

Giancarlo Siani morì 28 anni fa, il 23 Settembre del 1985. Io non ero ancora nato. Molto probabilmente, i miei genitori non si conoscevano nemmeno oppure avevano appena cominciato a frequentarsi. E...

Giancarlo Siani morì 28 anni fa, il 23 Settembre del 1985. Io non ero ancora nato. Molto probabilmente, i miei genitori non si conoscevano nemmeno oppure avevano appena cominciato a frequentarsi. Eppure ad oggi anche io, come tanti altri come me, giovani, napoletani e giornalisti, lo ricordo. Lo ricordo come si ricorda un amico o un parente, come se quel terribile giorno ci fossi stato anche io.

Era a bordo della sua Mehari, una macchinetta della Citroen, senza tettuccio e sportelli. Gli spararono lì, senza pietà. Giancarlo Siani lavorava per Il Mattino, scriveva di cronaca e fu tra i primi a mettere nero su bianco la brutalità della camorra, la sua storia, quello che succedeva veramente a Napoli. Per questo, venne preso di mira, abbandonato e ucciso. Era un abusivo, scrive Arnaldo Capezzuto; per dirla con altre parole, era un precario. Uno senza diritti. Un paio di mani, una serie di dita, che dovevano battere sulla macchina da scrivere a comando. E il tutto, ovviamente, senza fare domande. A Giancarlo Siani, però, lavorare così non andava bene. Sempre in prima linea, era un giornalista-giornalista. Scriveva consapevolmente, con l’unico obiettivo di mostrare la verità alla gente.

Oggi, 23 Settembre 2013, lo ricordiamo. A Napoli è partita una staffetta, un passaggio di volante della sua Mehari, rimessa a nuovo e tirata a lucido. Giornalisti, amici e conoscenti si alterneranno alla sua guida per portarla in giro per il capoluogo partenopeo, ripercorrendo tutte le tappe più importanti. Si fermeranno alla sede de Il Mattino, dove si terrà la X edizione del premio Siani.

Il tempo passa, ma noi non dimentichiamo. Noi non dimentichiamo la camorra, la sua furia omicida; chi è morto sotto i suoi colpi. E soprattutto noi non dimentichiamo Giancarlo Siani e gli altri giornalisti morti ammazzati per mano delle mafie. Noi ricordiamo. La morte di uno è la speranza di tanti: un pilastro a cui appoggiarsi, un esempio da seguire; la voglia di fare, di reagire, sopra ogni altra cosa. Noi non dimentichiamo, oggi come ieri.

Twitter: @jan_novantuno

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