«Un occhio alla bibbia, l’altro alla pistola» canta Caetano Veloso in una sua bellissima canzone intitola «Heroi», l’Eroe.
Caetano è un grande osservatore della realtà del suo paese.
Religione e narcotraffico sono due forze di potere che spesso si contendono il dominio delle popolazioni più povere, in Brasile.
A Rio, sta accadendo qualcosa di paradossale.
Il narcotraffico, che domina molte favelas, ha cominciato a bandire la professione delle religioni afro-brasiliane.
Motivo? I capi delle fazioni del narcotraffico hanno abbracciato le religioni evangeliche, le nuove chiese, che in alcuni suoi settori più radicali osteggiano il culto di più schietta matrice africana, che poi è il culto più antico dei neri brasiliani. (Alcuni pastori, durante il culto, si scagliano addirittura contro la musica di matrice africana, il samba).
Come riporta un reportage di O Globo in questi giorni, ma la questione viene crescendo da qualche anno, il narcotraffico – che domina a seconda delle fazioni quasi tutte le favelas di Rio – impone ora il suo potere anche sulla vita spirituale degli abitanti delle comunità più disagiate.
I trafficanti non solo hanno fatto chiudere i terreiros, i luoghi di culto dell’umbanda e del candomblé, i due principali culti afro-brasiliani, ma proibiscono anche i segni esteriori: i tradizionali abiti bianchi e le collane afro.
Il giornale afferma che almeno quaranta leader religiosi afro sono stati costretti a lasciare le loro comunità e trasferirsi altrove. E così anche molti fedeli, raggiunti da minacce soltanto per aver lasciato gli abiti bianchi appesi ad asciugare all’aperto. Molti di loro, raccontano di essersi convertiti a qualche chiesa evangelica, per non soffrire rappresaglie e poter restare dove sono sempre vissuti.
Dicevo sopra che la questione, oltre che drammatica, è anche paradossale.
Accadeva nell’era dallo schiavismo che, nelle fazendas, gli schiavi africani dovevano professare di nascosto i loro culti portati dalla terra madre. Per questo, nelle religioni sincretiche brasiliane, alle divinità afro corrispondono santi cattolici: San Sebastiano è Oxossi, San Giorgio è Ogun, San Michele Arcangelo è Xangò, Santa Barbara è Iansà, e così via.
Gli schiavi cultuavano i santi cattolici ma in realtà erano devoti ai loro orixas africani. Era un trucco. Dovevano nascondersi. La mano di ferro dei padroni non voleva solo il loro lavoro ma anche la loro anima di credenti e li costringevano a dissimulare.
Per gli schiavi, cosa rappresentava il culto? Rappresentava due cose preziosissime: sentirsi vicini alla loro terra, a casa, e rappresentava la libertà.
La schiavitù è stata abolita nel 1888. Ma viene da chiedersi: davvero?
Oggi rinasce. Dove il paese è meno libero, nella favela, esistono ancora dei padroni in grado di vietare la libertà di culto che, in quelle terre di confine, spesso terre di nessuno (sebbene a quattro passi dagli shopping center) significa non solo partecipare a una “messa”, a un rito, ma è uno stile di vita, è un modo di vestirsi, un modo di stare insieme, di ascoltare e produrre musica, arte e modelli di convivenza. Lasciare libero campo alla piaga del narcotraffico è per il Brasile perdere una parte del suo popolo.
E’ come rinchiuderlo ancora una volta nelle stive delle navi.