Apologia di SocrateSvendere i Gioielli di Famiglia

Sulla stampa (Link) di oggi leggo queste parole del nostro primo ministro Il debito significa mangiarsi il futuro - continua il premier - : vuol dire voler risolvere i problemi di oggi non con i s...

Sulla stampa (Link) di oggi leggo queste parole del nostro primo ministro

Il debito significa mangiarsi il futuro – continua il premier – : vuol dire voler risolvere i problemi di oggi non con i soldi di oggi ma con i soldi dei nostri figli. In passato è stato fatto questo.

Segue una considerazione pro domo sua tanto banale quanto opportunista ossia

Per pagare i debiti bisogna essere credibili.

Con questo lui vuol dire che basta lasciarlo fare poi le cose si risolvono, ma omette l’argomento impopolare che non è realisticamente pensabile affrontare il nodo del debito pubblico senza un consistente piano di dismissioni del patrimonio pubblico.

Su opportunità e utilità di privatizzare ha fornito ottimi argomenti e molto solidi Carlo Stagnaro in questo post (link), tuttavia occorre prendere atto che con un rapporto debito/pil che viaggia intorno al 130% (link) e una crescita che, quando arriverà (link), sarà realisticamente ben lontana dalla soglia che garantisce la sostenibilità di lungo periodo (link)sotto ragionevoli ipotesi di andamento delle altre grandezze connesse (tassi di interesse, inflazione, livello dello stock di debito).

Privatizzare, quindi, non è una scelta o una velleità, ma una obbligo che prima o poi andrà onorato e che in ogni momento potrebbe diventare tragicamente urgente.

A questo punto, puntuale come la morte e le tasse arrivano le obbiezioni sullo svendere i gioielli di famiglia. Non si può aspettare un altro momento? Vendere oggi significa svendere?

Con un po’ di buon senso e logica si può facilmente argomentare che privatizzare è una scelta conveniente per i contribuenti italiani e che aspettare un momento migliore è un’illusione infondata.

Partiamo dal senso comune: se avete comprato una appartamento in Italia qualche anno fa è possibile che oggi, se desiderate venderlo in tempi ragionevoli, dobbiate accettare un significativo sconto sul prezzo pagato all’epoca. La conclusione, del senso comune, è che ci siano dei periodi in cui “conviene vendere” ed altri in cui non conviene.

Questa convinzione è fuorviante per due ordini di motivi:

  • la convenienza va valutata con riferimento al singolo individuo e alla singola operazione e non astrattamente in generale ed è in ogni caso relativa
  • la impossibilità di prevedere quando queste fasi positive o negative si verificheranno le rende irrilevanti

Immaginate un momento in cui il mercato immobiliare è generalmente in rapida ascesa: se io vendo casa mia oggi e tra un anno la persona a cui l’ho venduta la rivende ad un prezzo maggiorato del 20% ho perso un’occasione? Avrei dovuto aspettare per vendere a un prezzo più alto? La risposta ovvia è che dipende da quanto bisogno avevo di vendere quando l’ho fatto e cosa ho fatto con i soldi ricevuti, ma più in generale cosa qual è il mio costo opportunità (link).

Magari io ho comprato un altro immobile che poi ho rivenduto guadagnando il 30% oppure ho saldato un debito evitando il fallimento della mia azienda: morale della favola, la convenienza dipende dalle circostanze individuali e non dal generico “andamento del mercato”.

Questo fenomeno è misurato dal concetto finanziario di valore attuale: incassare 100 euro oggi o tra 10 anni non è la stessa cosa. Il valore attuale oggi di una somma disponibile in futuro è determinato dal tasso di sconto che misura il mio costo opportunità. Se ad esempio esso è superiore al 10% allora è preferibile incassare 100€ oggi che non 110 tra un anno. Petanto, anche se aspettare potrebbe portarci ad un incasso maggiore, non è detto che questo sia finanziariamente conveniente.

Questo per non dire del fatto che nessuno è in grado di prevedere con certezza quale sarà il prezzo di vendita nel futuro, quindi attendere domani per vendere significa sempre assumersi il rischio di vendere a un prezzo diverso da quello che potremmo prevedere oggi.

Come si traspongono queste osservazioni di buon senso a livello di stati sovrani e di privatizzazione del patrimonio pubblico?

Le cose che lo stato può realisticamente vendere sono sostanzialmente partecipazioni in imprese e beni mobili e immobili. I beni mobili vengono generalmente trascurati perché di valore singolarmente troppo contenuto e numerosità troppo elevata perché la loro dismissione sia conveniente; mentre per i beni mobili valgono le considerazioni fatte per l’individuo ossia che più che l’andamento generale del mercato contano le caratteristiche individuali del venditore e della singola operazione.

Che dire delle imprese? La valutazione di questo tipo attività è materia complicata e controversa ed il fatto che la quota posseduta costituisca o la misura in cui contribuisce alla determinazione della quota di maggioranza è molto rilevante. Anche a questo proposito è tuttavia possibile fare delle considerazioni di senso comune.
Largo circa il prezzo a cui è conveniente acquistare oggi un’impresa è dato dal valore attuale dei flussi di cassa che ci si può attendere che essa sia capace di generare in futuro. Il valore attuale si calcola scontando ad un tasso di interesse opportuno che riflette le preferenze per il rischio di chi investe, il rendimento desiderato ed eventualmente il fatto che investa con fondi propri o presi in prestito.

Numerose sono le cause che determinano i flussi di cassa futuri, tuttavia e sicuramente rilevante la qualità di chi gestisce l’impresa, il management e il modo su cui vigila su di esso la proprietà e gli organi di controllo. Domanda da un miliardo di euro: come vengono gestite le imprese partecipate dallo stato? Difficile dirlo tuttavia è plausibile ipotizzare (stiamo parlando di senso comune, no?) che lo stato sia il peggiore degli azionisti. E’ il peggiore perché non ha come unico obiettivo quello ottenere dei profitti, come avviene tipicamente per gl investitori privati.

Qui partono le controversie perché molte persone trovano perfettamente accettabile che, magari per motivi di “pace sociale” invece di far soldi le imprese partecipate dallo stato assumano dipendenti non necessari e/o forniscano i propri prodotti a un prezzo più contenuto. Insomma, per il senso comune è ragionevole che lo stato persegua finalità di interesse generale utilizzando le proprie partecipazioni in imprese private. Siamo sicuri che è ragionevole?

Riflettiamoci un istante, se lo stato deve perseguire finalità che riguardano il benessere della collettività come ad es promuovere l’occupazione e l’accesso a beni meritori quali la sanità come è meglio che proceda? Modificando una legge oppure indirizzando un’impresa di cui ha il controllo?

Pensiamoci un attimo, se l’impresa è in utile ed è gestita come se fosse di proprietà di un privato, che motivo c’è perché la proprietà sia pubblica? Non è meglio venderla e utilizzare il ricavato per costruire scuole ospedali etc?

Se viceversa l’impresa è in perdita, perché ad esempio deve assumere personale inutile per mantenere l’occupazione, da dove arrivano i soldi per mantenerla in vita? Dalle tasse pagata dagli altri cittadini e imprese. Dove ci porta un sistema in cui si tassano le imprese sane per tenere in vita quelle che di norma dovrebbero fallire? Se l’interesse comune, ad esempio è l’occupazione, non è preferibile lasciare che le imprese malate falliscano e impiegare soldi per mantenere i lavoratori finché non trovano un altro impiego? Se invece è la fornitura di beni a prezzo di favore, non è sempre preferibile sussidiare direttamente i consumatori?

Questo per non parlare del fatto che invece dello stato astratto esistono in concreto politici e funzionari pubblici che hanno interesse a che le imprese controllate dallo stato facciano gli interessi di poche persone a loro vicine piuttosto che dell’intera collettività.

E’ sbagliato allora svendere i gioielli di famiglia?
Svendere è una parola fuorviante perché non tiene in considerazione la variabile centrale costituita dal bisogno che lo stato italiano ha di vendere oggi: aspettare un momento futuro può voler dire essere costretti a vendere in un momento in cui si è obbligati ad accettare prezzi più bassi.

Ma vendere domani può voler dire incassare di più?
Per quanto riguarda le imprese abbiamo già detto che la “gestione” di stato non giustifica alcuna previsione di spuntare prezzi più alti in futuro,

  • se in attivo costituisce un cattivo impiego di risorse che potrebbero essere spese altrimenti per il benessere collettivo,
  • se in passivo è un onere per i contribuenti non compensato da ragionevoli benefici per la collettività (sarebbe possibile ottenere gli stessi benefici senza sostenere i costi dell’azienda)

Per quanto concerne gli immobili va considerato che nessuno è in grado di prevedere quali saranno le condizioni di mercato future e che l’eventuale maggior valore futuro potrebbe essere finanziariamente meno conveniente dell’importo realizzato oggi: mantenere il debito esistente vuol dire pagare interessi e mantenere una elevata pressione fiscale per finanziare il servizio del debito.

Ma tutti questi immobili chi li compra e se poi inflazionano il mercato?
Quando si parla di privatizzare beni della repubblica italiana i compratori di riferimento non devono essere i soliti furbetti o gli amici degli amici, ma gli investitori di tutto il mondo ai quali è possibile fornire informazioni, immagini e video degli immobili da comprare attraverso la rete, utilizzando intermediari accreditati a livello internazionale a garanzia del buon corretto svolgimento delle trattative.

Ma se le imprese pagano utili superiori agli interessi risparmiati sul debito rimborsato?
Questa è un’altra illusione degna di un prestigiatore: la relazione tra utili pagati delle imprese e interessi risparmiati è suscettibile di variazioni rapide e consistenti perché gli utili possono diminuire e soprattutto gli interessi dovuti aumentare, ma in generale non toglie che un’azienda di proprietà pubblica che fa alti utili dovrebbe essere facile da vendere in modo da destinare i fondi ricavati a utilizzi più consoni per il benessere comune (scuole, strade, mense per i poveri etc)

Quale la morale della favola?
Numeri alla mano, privatizzare è una necessità e rimandare costituisce solo un rischio e un potenziale maggior onere per i cittadini. La retorica sullo svendere il patrimonio dello stato serve solo ai pochi che oggi ne dispongono per il proprio interesse personale a spese della collettività.

@massimofamularo

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