La crisi che il Pd sta vivendo in questo ultimo periodo ha una duplice matrice. All’esterno del partito si assiste ad uno scoramento dei propri elettori che non hanno affatto digerito l’appoggio al governo tecnico del professor Monti prima e le attuali “larghe intese”. Nel primo episodio della saga, i due amanti di sempre (Pd-Pdl) facevano “all’amore” solo in clandestinità: il feeling c’era già, ma appoggiavano il governo dei tecnici ognuno seduto al proprio scranno, aumma aumma. Nel sequel invece, questo amore ha cessato di essere nascosto, c’è stata la “fuitina” dei due innamorati (Letta – Alfano): si amoreggia alla luce del sole, ci si scambia gli scranni in parlamento, ci si genuflette ossequiosamente ai ricatti del public enemy n°1 del Pd, il tanto odiato cavaliere di Arcore. Un “Governissimo” che, almeno a parole, avrebbe dovuto traghettare il Paese fuori da quelle sabbie mobili in cui era sprofondato a causa della crisi economica esacerbata da 20 anni di scontri tra le due principali contrapposte fazioni. Si capisce dunque il perché il Pd non dica, né tantomeno faccia, “qualcosa di sinistra”.
Internamente si assiste, di conseguenza, ad una incipiente deriva centrista. Una neo demo cristianizzazione del partito che ha tra i suoi maggiori esponenti i due enfant prodige della politica nostrana: Letta (Enrico) da un lato e Matteo “amicidimaria” Renzi dall’altro. A dimostrazione di ciò va ricordata la subitanea defezione di Sel, che da questa “convergenza” si tirò immediatamente fuori; Vendola, infatti, fece i bagagli dalla coalizione di centrosinistra dichiarando: “Faccio i miei auguri ad Enrico Letta, ma noi staremo all’opposizione di un esecutivo che ha tra i suoi azionisti gli autori dello sfascio dell’Italia. Il Paese vive una condizione di povertà e sofferenza sociale e noi chiederemo il conto a quei populisti tornati al governo.”
Con la prematura dipartita verso i verdi pascoli dell’ala sinistra del partito, lo scenario futuro, potrebbe riservarci un’ulteriore trasformazione del partito democratico: uno schieramento più simile al partito popolare europeo. Capitanato da Renzi (già consigliere comunale di Rignano sull’Arno tra il 1985 e il 1990 per la Democrazia Cristiana) fresco fresco della preoccupante ed inquietante investitura profusagli da D’Alema, appoggiata dai vari Letta (zio e nipote), l’ex ministro Barca, Franceschini e buona parte dell’attuale ala di centro del Pd; da qualche colomba (o falco?) del Pdl; dal democristiano di origine protetta e controllata, il sempreverde Casini; da Monti e dai montiani; dagli Scilipoti e dai Razzi vari ed eventuali.
E la corrente di sinistra? Molto probabilmente – a meno di ulteriori parcellizzazioni – parte verrà inglobata da Sel e un’altra parte convoglierà nel M5S di Grillo e Casaleggio. Una diaspora inevitabile ma necessaria affinché non scompaia il pluralismo e il confronto delle idee. Assisteremmo così ad un ritorno alla prima Repubblica, allo strapotere della “balena bianca” fatta sì di facce più o meno nuove ma le cui radici affondano sempre in quel modo di far politica che intesseva rapporti leciti ed illeciti pur di prendere in mano il governo del Paese e che tanto male ha fatto all’Italia. Ideologie che salvaguarderebbero gli interessi delle banche e delle grandi lobby del potere economico a discapito dei cittadini onesti e della gente comune. Per questa operazione di marketing elettorale – un po’ vintage se vogliamo dirla tutta – si potrebbero anche rispolverare e riutilizzare i vecchi manifesti elettorali DC che circolavano nel dopoguerra e che riportavano il seguente monito: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no.”
6 Settembre 2013