La telenovela Alitalia mi ricorda quei negozi di famiglia gestiti in perdita dall’erede incapace di turno: ti dispiace che un pezzo di storia di famiglia vada in mano altrui e intanto paghi per ripianare le perdite del giovane incapace.
Neanche questa romantica similitudine bambocciona però regge alla considerazione che il gingillo al ragazzino puoi lasciarlo finché i soldi per mantenerlo ce li hai (e coi tuoi soldi fai quel che vuoli, ci mancherebbe) . Dopo che però ci han provato tutti in famiglia a rimettere in sesto l’attività e abbiamo bruciato una cifra ragguardevole*, la scelta del governo di buttare altri 75 milioni di poste italiane, più 200 delle docili banche amiche in una compagnia aerea che funziona male in cui comunque entrano i francesi (con altri 75 milioni) si deve per forza annoverare sotto la voce “perserverare est diabolicus”
Alitalia non è il colosseo, che la perfida albione vuole smontare e portarsi via per farne chissà cosa, non è un qualche pezzo dell’identità culturale del paese che viene distrutto, danneggiato o svenduto. Si tratta più semplicemente di un’azienda che non riesce a soddisfare i propri clienti, né a chiudere un bilancio in utile o in pareggio e che in condizioni normali sarebbe fallita da tempo.
La gestione dei politici ha quindi fallito la prima volta dimostrandosi di tenere in vita una compagnia che godeva di vantaggi storici (monopolio su alcune tratte esperienza, personale etc), la seconda volta, rifiutandosi di accettare la realtà e bruciando in nome di una non ben specificata italianità miliardi dei contribuenti; per la terza volta oggi insiste sulla strada dell’incesto tra società pubbliche nelle vuota speranza che questa volta sarà diverso.
Certo c’è sempre la storia dei dipendenti, ma anche quella cozza contro il naturale buonsenso: Ammesso che nel nostro paese alcuni animali sono più uguali degli altri e che vogliamo accordare a questi individui lo stesso stauts di illicenziabilità dei dipendenti pubblici, tenere in vita un’azienda zombie rimane l’ipotesi più costosa per i contribuenti: vendere ai privati la compagnia e assorbire nelle folte schiere della pubblica amministrazione i dipendenti non desiderati dall’acquirente, sarebbe costato molto meno.
Insomma, il governo e la casse politica di cui è espressione si dimostrano ancora una volta inadeguati e incapaci non dico di tutelare gli interessi dei cittadini, ma quanto meno di evitare di sperperare in modo irragionevole il danaro dei contribuenti. Il conto, per i disgraziati che lo pagano, si alza ancora ed era già a livelli insostenibili.
*ricordate che i 4 miliardi dati in passato all’ALITALIA ricordano pericolosamente il gettito dell’IMU sulla prima casa e che il governo ha vacillato per un miliardo che ballava sull’IVA
Replica al commento di Daniele da Milano Spiacente Daniele, ma lei commette un errore di fondo. Cedere partecipazioni a soggetti graditi dallo stato, costringere istituti bancari a finanziare un progetto in cui mai avrebbero messo un centesimo e imporre un piano industriale che poco aveva a che fare con il buon senso costituisce solo l’ennesimo fallimento della regia di stato. Far operare Alitalia in un regime privatistico vuol dire non apportare un centesimo di denaro pubblico e nè una parola di ingerenza lasciare libertà alle imprese private. Probabilmente lasciar fallire l’azienda e lasciare che altri operatori ne rilevino la struttura. Alitalia era un carrozzone pubblico che non è mai uscito della sfera di influenza dei politici parlare di gestione dello stato migliore mi sembra francamente risibile Saluti
Ulteriore replica al secondo commento di Daniele da Milano
Daniele,
non condivido il suo manicheismo ideologico in base al quale l’incapacità di alcuni imprenditori privati sarebbe prova di un qualche fallimento del mercato o di una mai provata e controfauttuale superiorità della gestione di stato. L’esistenza di imprenditori incapaci è perfettamente naturale e fisiologica al meccanismo di mercato, la virtù positiva che contraddistingue la gestione privatistica rispetto a quella di stato è che quando i mercati funzionano chi sbaglia paga e ci rimette di tasca propria. Questa prospettiva induce chi rischia ad essere cauto e in generale fa in modo che le risorse finiscano in mano a chi è più capace di gestirle.
Nella storia di Alitlia di mercato o di meccanismi veramente privatistici s’è visto veramente poco e quel poco è stato distorto e inquinato dalla “regia di stato” . La dove gli stati si fanno gli affari propri (ad es in svizzera) le compagnie aerre falliscono, i gestori privati incapaci pagano le perdite di tasca propria e lasciano il posto a quelli capaci. Questo produce occupazione e benessere per la collettività.
Se ricorda un po di sillogismi dal liceo, il fatto che alcuni imprenditori privati si siano dimostrati incapaci, nonostante le agevolazioni ricevute, non vuol dire che tutti lo siano. Inoltre se la via del mercato (lasciar fallire le imprese, che non vuol dire abbandonare i dipendenti su cui si può sempre intervenire) non è mai stata sperimentata, a maggior ragione non si può parlare di vittoria della gestione di stato, che come lei stesso ammette è stata fallimentare. Lasciamo perdere le tifoserie ideologiche, non esiste lo stato buono o il mercato cattivo, esistono i cosiddetti fallimenti di mercato, ma non è assolutamente questo il caso è invece altresì evidente che si tratta di un fallimento della classe politica.