Riguardo al reato di negazionismo, in questi giorni, si è detto e scritto molto. Della questione, d’altro canto, si era già dibattuto nel 2007, quando l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella aveva proposto di introdurre il reato nel codice penale. Un dispositivo mai approvato, ma oggi tornato alle cronache per via dell’emendamento approvato dalla Commissione Giustizia del Senato, che condanna chi «nega l’esistenza di crimini di genocidio, crimini di guerra o contro l’umanità». E in particolar modo, quindi, chi sostiene tesi volte a negare la veridicità storica dell’Olocausto.
Ho avuto il piacere di discuterne ieri sera come ospite dell’apprezzatissima trasmissione ZeroFrontiere (che sarà in onda questa sera alle 21:30 su Radio DirittoZero) con il conduttore, Joshua Evangelista, e la psicopedagogista Tytty Cherasien. Ne è emerso un dialogo molto serrato tra posizioni vicine ma divergenti, che vi invito a seguire sul sito dell’emittente.
Pur riconoscendomi nella ferma battaglia contro il negazionismo e trovandomi in più occasioni in accordo con i sostenitori dell’emendamento, ho avuto modo, nel corso del programma, di enucleare quelle che credo essere le contraddizioni di un simile provvedimento, di cui d’altra parte, già nel 2007, importanti rappresentanti del mondo della cultura nostrana avevano sottolineato le criticità.
Assimilare al reato un’opinione di carattere storico vuol dire porre il diritto stesso al di sopra delle contingenze fattuali, storiche e antropologiche che lo producono, facendone un reticolo di precetti morali e sovrastorici assolutamente inadatti alle dinamiche interne di una società liberale. Là dove una legge, d’altra parte, si pone sul piano delle opinioni – qualsiasi esse siano – essa presta il fianco proprio all’accusa di opinabilità, giacché valica quel domino, che le è proprio, di istituto regolativo delle relazioni tra soggetti responsabili, arrogandosi una funzione direttiva o addirittura, come in questo caso, veritativa, rispetto a fattualità non riconducibili a relazioni intersoggettive.
Che a consegnare alla legge il predominio sulle contingenze storiche sia la Rivelazione, la morale o la – sacrosanta – necessità di proteggere i valori di una specifica comunità, infatti, vale per me il punto che, là dove si fuoriesce da un piano di pura dialettica tra soggetti, si entra nel territorio della storia, e il diritto – che ha una natura, ancor prima che una funzione, di carattere regolativo – perde la sua efficacia. Oppure la guadagna contraddicendo la sua stessa legittimità, avvitandosi in paradossi di ogni sorta e spianando la strada a una visione musealista (e quindi intrinsecamente monumentalista) della storia stessa.
Si dirà: una questione di metodo, di fronte a una delle più grandi tragedie dell’umanità. Già, ma proprio questa questione di metodo, a parer mio, permette di salvaguardare la vera strada della lotta contro il negazionismo, una strada che non passa per la messa al bando legale di un uso distorsivo e perverso dell’opinione storica. Chi afferma tesi negazioniste è un ignorante o un disonesto, e contro l’ignoranza e la disonestà le armi del diritto possono ben poco. Possono invece tanto, tantissimo, sebbene con un’efficacia forse meno immediata, quegli istituti fondanti della vita e della legge (!) democratica che vivono oggi un significativo tracollo. Scuola, istruzione, educazione civile e civica, testimonianza, riflessione vera, sono la strada maestra per trasformare il negazionismo in un reato non penale, ma – più profondamente – antropologico, culturale, storico, combattendolo sul terreno nel quale esso stesso si radica: l’uomo.
Tra le tante questioni emerse durante la trasmissione, infine, merita una particolare attenzione, a mio parere, quella suggeritami dallo stesso Joshua Evangelista, che ha giustamente menzionato il concetto di “creazione della verità”.
Ecco, io credo che anche dinnanzi a tragedie così immani quanto l’Olocausto e il negazionismo non si possa eludere un essenziale dato di fatto, di cui l’intero Novecento si è in un certo senso fatto portavoce. Faccia a faccia con la storia, ognuno di noi ha lo straordinario – e potenzialmente devastante – potere di generare, forgiare, configurare la verità, e tanto più lo ha oggi, in un’epoca in cui la rete ha consegnato a ciascuno la possibilità di propugnare la propria verità.
Proprio per questo, tuttavia, abbiamo tutti il preciso compito, qui, di creare una verità degna di questo nome, una verità rispettosa di ciò che ci circonda, ma anche rispettosa della realtà. Allora, io dico, piuttosto che dibattere di una Storia con la esse maiuscola alla quale appellarci, a cui ancorare ferme leggi, cerchiamo di rendere migliori – e, se possibile, più reali – le nostre piccole storie individuali; per costruire, ciascuno di noi, una verità responsabile.
Simone Guidi.