Molto opportunamente alla camera dei deputati è stato votato un nuovo decreto legge contro le violenze sulle donne. Appesantite le condanne e modificati alcuni termini, il decreto appare efficace nella sua funzione di deterrenza, sospinto com’è da fatti di cronaca che si susseguono in cui la vittima è sempre la donna.
Tutto ciò si chiama delitto di genere come l’on. Binetti ha positivamente sottolineato ma concettualmente la diversità dei generi, cioè tra uomo e donna, tende a scomparire sia nel diritto che sopratutto, nella pratica e, nei paesi occidentali più avanzati, perlomeno nelle professioni intellettuali, le donne hanno lo stesso successo che gli uomini. C’è, nel frattempo, chi dice sommessamente, perché non è il caso di strillarlo, che il massimo esempio di amore sia appunto quello di uccidere la propria amata: è un residuato tardo romantico non privo del suo fascino e, talvolta, non privo anche di una sua giustificazione (si intende di natura poetica e non giuridica). In realtà ci sono ancora, non completamente assorbiti residui del vecchio codice con il suo “delitto d’onore” di carattere medievale e dove ancora compare la figura dello storpio e iracondo Gianciotto che però sembra esso stesso essere vittima del suo complesso nei confronti della di lui moglie Francesca e del cognato Paolo, troppo belli e peccaminosi da non essere puniti.
Insomma, tutto questo discorso perché non si crei intorno alla donna una cappa di protezione di “genere” vagamente islamica e che accentua, non riduce, la violenza all’interno delle famiglie in cui la donna ridiventa proprietà del maschio. C’è, nel mondo delle religioni, delle associazioni, eccetera, una tendenza a corporativizzare la donna, a proteggerne la casta gioventù e ad affidare la rappresentanza di genere, come avviene nelle tribù primitive, alle donne anziane che non suscitano più pulsioni aggressive da parte dei maschi. Anche il dibattito in parlamento, quasi tutto fatto dalle parlamentari donne, come se il problema fosse solamente femminile e non interessasse la società nel suo complesso, può essere un segnale di questo genere.
Finalmente l’idea di una società molto rigorosa, ma fondata su termini morali superati, impoverisce il ruolo della donna, non come donna, ma come partecipante a tutto diritto della società e accentua invece la morbosità del possesso e la frustrazione Gianciottesca dell’uomo respinto e non soddisfatto nel mezzo di una realtà mediatica e pubblicitaria in cui la bellezza e la disinvoltura sono esaltati quotidianamente.
Il rischio è che la paura del libertinismo tenda a sistemare tutti in modo che in altri tempi si sarebbe detto “borghese” e cioè gay regolarmente sposati, donne protette da stalking anche ingenui e via discorrendo, lasciando però all’interno della famiglia uomini, mariti o padri, che picchiano, ubriachi e non, le loro mogli e figlie, tutto questo con difficoltà psicologiche enormi per la denuncia perché talvolta si tratta di un ceffone davanti ai bambini del padre ingegnere frequentatore domenicale della parrocchia “elettore”, come direbbe Hugo, e che nessuno si sognerebbe di collocare tra i violenti. Egli sarà stanato non tanto dalle leggi pur volenterose e positive, ma dagli sviluppi della società moderna, quando cioè la moglie sarà un ingegnere come lui e forse suo superiore in ufficio, quando la famiglia non sarà più un “giardino chiuso dove nessuno penetrato è mai” ma un luogo aperto con ruoli interscambiabili. Poi il maniaco, il malato ci sarà sempre e dovrà essere curato piuttosto che arrestato ma non confuso con chi aspira a dar corpo anche nel nostro paese che è l’ultimo in Europa per l’uso della pillola contraccettiva, alla rivoluzione del 68′. Anche io, ormai fuori causa per tutti gli aspetti più concreti di quella rivoluzione, credo in quel tenero rapporto che giustifica la nostra vita e che non può essere espresso in parole politically correct dalle deputate Pd e che si chiama amore.
9 Ottobre 2013