Da un po’ di tempo a questa parte, Mediaset ha iniziato sulle sue reti una martellante campagna pubblicitaria.
Nel primo spot l’azienda di Silvio Berlusconi esordisce lanciando due stilettate a Rai (“non riceviamo finanziamenti pubblici”) e Sky (“noi non siamo colossi americani”). Un’azienda che fa tutto da sola, contando solo su sé stessa, fa compagnia agli italiani senza chiedere loro niente in cambio. “Nemmeno un bollettino postale”.
Nel secondo vediamo una carellata di testimonial che rappresentano i dipendenti di Mediaset. Tecnici, inservienti, operai, la gente che lavora, le persone comuni come noi. Un’azienda che “in un momento come questo” da lavoro a ventimila persone e continua a farlo.
Esiste un terzo spot (purtroppo assente su Youtube) dove si esalta la storia dell’azienda (“Abbiamo iniziato da zero e ora siamo uno dei principali gruppi televisivi europei”) e si rivendica il contributo allo sviluppo del Paese (“da quando esistiamo l’industria ha potuto liberare la comunicazione di nuovi prodotti”, “abbiamo fatto crescere consumi e benessere”) e al bene dello Stato: “abbiamo versato 9 miliardi nelle casse pubbliche”. Tutto questo senza spostare sedi all’estero, perché Mediaset è italiana, fa lavorare gli italiani e “le tasse le paghiamo tutte qui, in Italia”.
Tutti e tre gli spot si concludono con la calda voce fuori campo che afferma: “Così giusto per ricordarlo!”.
Gli spot hanno scatenato roventi polemiche, soprattutto per le diffuse omissioni. Mediaset non è costata nulla agli italiani, come afferma il primo spot? In realtà Mediaset qualcosa è costata agli italiani: per mantenere Rete 4 in onda, la Corte di giustizia UE ha condannato lo Stato Italiano a risarcire dieci milioni di euro all’imprenditore Francesco Di Stefano, proprietario di Europa 7 il canale tv che doveva subentrare a Rete 4 in base alla famosa gara del 28 luglio 1999 e che diede origine ad una lunghissima controversia politico-giudiziaria.
Mediaset non è nata proprio da zero. O meglio, forse sarà anche nata da zero, affondando le sue radici in una televisione condominiale ma deve molto alla sua affermazione negli anni Ottanta all’allora classe politica che, scriveva Enzo Biagi il 25 ottobre 1984: “che per furbizia, per lassismo, per incapacità (o per interesse) ha lasciato fare. Cinque ministri delle Poste non sono stati capaci di un gesto risolutivo o di dimettersi”. E quando tre pretori oscurarono le reti in tre regioni, il premier Bettino Craxi mollò un incontro internazionale con la Thatcher a Londra e si precipitò in Italia per varare un decreto per mantenere la messa in onda delle reti di Berlusconi. Facile affermarsi così.
Sulle tasse che Mediaset paga allo Stato, giova ricordare che giusto ad agosto la Corte di Cassazione ha riconosciuto, l’esistenza di fondi neri proprio per evadere il fisco. Una cifra che, secondo il pm Fabio De Pasquale, ruoterebbe intorno ai 270 milioni di euro. E che Mediaset non delocalizza perché, francamente, un’azienda televisiva difficilmente può produrre i suoi programmi in India o in Pakistan.
Ma perché Mediaset ha sentito il bisogno di ricordarci tutto questo?
I tre spot hanno un’impostazione che ricorda molto la campagna elettorale berlusconiana (la gente che lavora era la protagonista di “meno male che Silvio c’è”) e probabilmente sono un tentativo di risollevare l’immagine dell’azienda e del suo proprietario dopo le condanne.
Gli spot hanno l’unico pregio di ricordarci il drammatico e mai affrontato problema del conflitto d’interessi. Del contrasto fra l’essere un uomo politico e possedere tre canali televisivi. Uno uso spudorato delle sue telecamere al quale Berlusconi non si è mai sottratto.
Nel 1994, ai tempi della discesa in campo, i vip Fininvest si lasciarono andare a dichiarazioni di questo genere:
Nei primi minuti si sente il povero Mike Bongiorno ricordare che “questo gruppo non ha mai licenziato nessuno mentre in questo momento ci sono tanti licenziamenti“. Non somiglia sinistramente ad uno dei tre spot? Persino le parole sono le stesse.
In vent’anni non è cambiato nulla. Sono solo meno espliciti.