Città invisibiliMetelkova, il centro culturale nel’ex edificio militare

Il primato delle capitali europee più all’avanguardia quanto ad eventi e spazi dedicati all’arte nelle sue più differenti espressioni lo detengono città come Londra e Berlino. Ma accanto ad esse e...

Il primato delle capitali europee più all’avanguardia quanto ad eventi e spazi dedicati all’arte nelle sue più differenti espressioni lo detengono città come Londra e Berlino. Ma accanto ad esse esistono anche capitali, per così dire minori, nelle quali si sono sviluppate strutture capaci di dare spazio a realtà culturali del luogo. Riutilizzando strutture preesistenti. A volte addirittura complessi, in abbandono. Posti dimenticati da tutti che sembrano usciti da un film di Pasolini o di Tarkovskij, mutati in parti vitali.

E’ il caso del complesso delle ex caserme austro-ungariche in via Metelkova ulica, il quartiere alternativo di Lubiana, trasformato in uno dei centri culturali della città slovena, nel quale si armonizzano interventi di matrice differente. Nella parte meridionale il Ministero della Cultura sta mutando i vecchi ambienti in un complesso museale ambizioso. Costituito già dal Museo etnografico sloveno, dal Museo nazionale, dalla Direzione del patrimonio culturale e dalla Galleria d’arte moderna. Nella parte settentrionale, invece, oltre all’ostello per la gioventù Celica, esiste anche il centro culturale alternativo Metelkova mesto. Nato nel 1993 su iniziativa della Mreza Metelkovo, associazione indipendente di artisti e intellettuali che occupò alcune parti dell’edificio per impedirne la demolizione. Dopo un restyling fatto di colori sgargianti e bizzarre decorazioni, i vecchi ambienti sono stati riconvertiti in luoghi di ristoro, locali che propongono musica live e spazi espositivi per ospitare mostre. Così nella Metelkova si è creato uno squatter che, dopo la decisione del consiglio comunale di Lubiana di dedicare le strutture alla cultura, è sopravvissuto per tre anni circa. Trasformato poi in un centro di avvenimenti alternativi.
Metelkova è autonoma ed autogestita da un consiglio di residenti, il cui scopo è quello di far si che questa area urbana rappresenti un perfetto punto di incontro tra sociale, arte e cultura. Proprio in considerazione di questa sua indipendenza, di questa sua “pericolosa” estraneità al governo nazionale è stata oggetto di tentativi di cancellazione.
Nell’agosto 2006 le ruspe inviate dal Ministero dell’Ambiente e dell’Urbanistica hanno abbattuto Mala Šola, cioè “piccola scuola”, un edificio progettato e costruito da volontari nel 2001 e considerato dalle autorità competenti “abusivo”. Negli ultimi anni la Mala Šola era diventato uno dei simboli della resistenza del popolo della Metelkova. Una casetta azzurra con un patio adibito a centro culturale, spazio per mostre, workshop, dibattiti o semplici chiacchierate. Le pareti interne erano un’opera d’arte grazie ai suggestivi affreschi ispirati alle profondità marine, firmati da due giovani artisti capodistriani. Mentre davanti alla Mala Šola sorgeva una scultura. Ma a dispetto di tutto Metelkova prosegue la sua storia. Che per certi versi, almeno nelle fasi iniziali, ricorda quella del Metropoliz, una ex-fabbrica abbandonat,a alla periferia di Roma, quadrante stellare di Tor Sapienza. Dove un gruppo di italiani, tunisini, peruviani, ucraini, africani e rom un bel giorno, decidono di rompere il lucchetto del cancello e di trasformare quel posto nella loro casa. Ristrutturano, riparano, organizzano e abitano quello spazio, cercando di farne un luogo dove condurre una vita decorosa. Per un paio d’anni, con la collaborazione di una comunità di artisti ampia e variegata, iniziano i preparativi per intraprendere un fantastico viaggio sulla luna.
Dai luoghi dell’abbandono delle città possono nascere delle opportunità. Che non sempre gli amministratori sanno cogliere. Preferendo esercitarsi in più agevoli aggiunte in zone periferiche. E’ in queste occasioni di vuoto che, spesso, trovano spazio iniziative “private”. Nelle quali le necessità primarie, la ricerca dell’abitare, non appare mai disgiunta da una forte volontà di creare cultura. E’ così che luoghi disabitati si ripopolano, diventando spazi culturali. Ma aldilà della loro valenza, è indubbio che le dinamiche che hanno contribuito alla loro nascita e al loro successivo sviluppo, meriterebbero una riflessione. L’osservazione di queste enclave all’interno delle città potrebbe facilitare la pianificazione da farsi. Potrebbe costituire un suggerimento nella progettazione. Fin’ora è accaduto raramente, da quel che si vede.

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