Opportune et importunePapa Francesco e la spiritualità degli “occhi aperti”

Per i giornalisti, va detto, è una pacchia. Papa Francesco regala sempre il titolo giusto. Nei suoi discorsi, infatti, le frasi a effetto non mancano mai. «Ai novelli sposi, io dico sempre: litigat...

Per i giornalisti, va detto, è una pacchia. Papa Francesco regala sempre il titolo giusto. Nei suoi discorsi, infatti, le frasi a effetto non mancano mai. «Ai novelli sposi, io dico sempre: litigate pure, arrivate anche a tirarvi i piatti addosso. Ma mai finire la giornata senza fare la pace», ha detto ad Assisi.

Per parlare delle grandi decisioni che orientano la vita di un uomo come il fidanzamento o il matrimonio ha fatto un esempio concreto: «Quando una madre mi chiede cosa fare con un figlio di 30 anni che ha la fidanzata, si amano, ma non si vuole sposare, io rispondo di non stirargli più le camicie…». Alle monache di clausura incontrate ad Assisi ha spiegato: «La vostra contemplazione è la realtà. Non idee astratte, non idee astratte, perché seccano la testa». Tutto questo, «viene proprio dalla contemplazione di Gesù Cristo, perché la suora, come la Chiesa, è sulla strada di essere esperta in umanità. E questa è la vostra strada: non troppo spirituale!».

Nell’intervista a La Civiltà Cattolica per spiegare quale deve essere l’atteggiamento giusto della Chiesa – farsi pellegrina nelle periferie del mondo – ha fatto l’esempio della suora che da piccolo, in ospedale, gli salvò la vita triplicando le dosi di penicillina prescritte dal medico. Lo fece, ha spiegato, perché aveva «fiuto, stava con i malati tutto il giorno». Più fiuto di quel medico chiuso nel suo ambulatorio come in una torre d’avorio. «Addomesticare le frontiere significa limitarsi a parlare da una posizione distante, chiudersi nei laboratori», ha spiegato il Papa. «Sono cose utili, ma la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza».

In queste frasi, pronunciate quasi sempre a braccio, c’è chi vede una certa superficialità. Papa Francesco, invece, richiama all’essenziale dell’esperienza umana, lontana dalle ideologie o da vaghi spiritualismi che quasi sempre hanno un’idea astratta, e perciò falsa e pericolosa, dell’uomo. Quando il Papa dice alle coppie di litigare pure, anche a costo di far «volare i piatti», ma poi di fare la pace e ricominciare, non è buonismo spicciolo ma l’ammissione che la vita di coppia, il matrimonio, non è, realisticamente, solo idillio armonioso – come la caricatura che ci offre la pubblicità – ma anche conflitto, incomprensione reciproca, scontro persino.

La prima virtù del cristiano è il realismo. Il Cristianesimo si differenzia da certi misticismi un po’ kitsch e dalle gabbie rigide dell’ideologia anzitutto per il suo concreto materialismo. Il Verbo si è fatto carne e «ha posto la sua dimora in mezzo a noi» (Gv 1,14). Come ha scritto lo scrittore inglese Chesterton: «C’è una cosa che distingue le grandi religioni dalle pacchiane superstizioni spiritualeggianti: il loro genuino, autentico materialismo». Lo Spirito che si riveste di carne, Dio che in Cristo si fa uomo e cammina tra gli uomini, parla per parabole, poi si ferma a cenare con amici e discepoli.

Nella predicazione di papa Francesco c’è un continuo, insistito richiamo all’esperienza concreta e reale come luogo di rivelazione (e di verità) dell’umano.
Il Cristianesimo, sembra volerci dire il Pontefice, è troppo grande e troppo bello per essere relegato solo nei rituali algidi, nei dibattiti autoreferenziali di certi teologi, nelle speculazioni cerebrali sulla fede che non scuotono perché non toccano la carne viva della nostra vita e della nostra storia. Al contrario, è da quest’ultime che tocca necessariamente partire per incontrare l’uomo, abbracciarlo, curarne le ferite in quell’ospedale da campo che, secondo Francesco, deve essere oggi la Chiesa.

Misurare o calcolare un’esperienza, come si farebbe con un’equazione matematica o un teorema algebrico, non solo non ha alcun senso ma non è neanche possibile. Perché l’esperienza sfugge sempre, eccede noi stessi, fa battere il cuore, come nel caso di un grande amore, o lo fa disperare, quando magari si è traditi. In ogni caso, non si può calcolare solo razionalmente o con un metodo scientifico la fedeltà di un amico, l’angoscia di un lutto, la forza della fede, la bellezza dello stupore.

La religione del Dio fatto uomo è la religione umanistica per eccellenza perché impastata di concretezza e sensualità, permeata dal senso della terra, della tradizione e del suo evolversi, della pietas, della memoria, della finitezza che non è fine, della carnalità degli affetti.

Il Papa sa bene che anche all’interno della Chiesa e tra i cristiani c’è il rischio invece che prevalga uno spiritualismo astratto e fine se stesso, una fede vissuta, tra un ritiro spirituale e l’altro, tra una frenesia di fare senza fermarsi mai, come pretesto per fuggire dal mondo evitando di correre ogni rischio. «Ci vuole coraggio per formare una famiglia! Ci vuole coraggio!», ha detto il Pontefice ad Assisi rispondendo alle domande di una giovane coppia. «Ma Gesù», ha aggiunto, «non ci ha salvato provvisoriamente: ci ha salvati definitivamente!».

Ogni discorso sulla fede, è il messaggio di Francesco, non può mai fare a meno dell’immediatezza sensibile, dell’esperienza umana. «Tutta l’iconografia cristiana», ha scritto Chesterton, «rappresenta i santi con gli occhi aperti sul mondo, mentre l’iconografia buddhista rappresenta ogni essere con gli occhi chiusi».