Qualche giorno fa, sulla bacheca di Mirko Mazzali, avvocato penalista del foro di Milano e presidente della Commissione Sicurezza di palazzo Marino (Mazzali è consigliere comunale) compare questo post:
“Sul reato di immigrazione clandestina cosa succede:
Trovano per strada un clandestino che cammina , lo fermano ,lo portano in caserma, scrivono il verbale di arresto e se il giudice di pace non tiene udienza lo trattengono.
Comunicano al pubblico ministero l’arresto, questi avvisa il giudice, che fissa udienza, avvisando l’avvocato di ufficio, attraverso il cancelliere.
Coloro che lo hanno arrestato conducono il clandestino in udienza, si celebra il processo e viene condannato a una ammenda solitamente di 2000 euro, che mai pagherà .
Finito il processo viene portato nel CIE più vicino , che può essere anche vicino 300 km, se c’è posto se no gli si notifica il decreto di espulsione e lo si rilascia.
Vediamo la cosa anche dal punto di vista , che non è il mio, repressivo.
Lo stato per infliggere una sanzione virtuale che nessuno pagherà mai, tiene occupato per molte ore 2 o 3 agenti di polizia locale o di pubblica sicurezza che quindi non svolgeranno altro servizio, occupa un giudice e un cancelliere che non potranno fare altri processi, paga un avvocato di ufficio.
Sia che la si ragioni dal punto di vista della repressione , sia che si ragioni in altro modo, solo un soggetto che non sa di cosa parla o che è immediatamente da rinchiudere in un manicomio può sostenere che il reato di immigrazione clandestina deve ancora esistere.”
E’ chiaro, preciso e per me che di questi temi non mi occupo, a tratti stupefacente.
Da questo post traggo due conclusioni: la prima è che il reato di immigrazione clandestina non serve a niente. La seconda è che il reato di immigrazione clandestina costa un sacco di soldi ai contribuenti, con buona pace di tutti gli elettori che credevano che questa cosa di fare piazza pulita (come nei paesi cosiddetti più evoluti) avesse qualche senso.
Approfitto della disponibilità dell’avvocato Mazzali, lo raggiungo al telefono e provo ad approfondire.
Mazzali sottolinea due cose importanti: la prima è che questo reato ha una pena sostanzialmente ineseguibile, e quindi cessa, del tutto il principio deterrente.
Nessuna persona fermata senza documenti ha a disposizione il denaro necessario per pagare l’ammenda e, come si legge nel post, in caso di mancato pagamento sostanzialmente non succede nulla.
La seconda è che il peso del procedimento è enorme, in termini di dispendio di energie e di costi da parte della pubblica amministrazione.
Infatti si coinvolgono gli agenti di PS che hanno effettuato il fermo per tutto il tempo del procedimento, un giudice di pace, un Pubblico Ministero, un cancelliere e l’avvocato d’ufficio. Viene prodotta una enormità di carta e tutto questo per niente.
Mazzali, a spannometro acceso, mi parla di un costo presunto di circa 4000 euro a procedimento, tutto sommato. Che, in ogni caso, è un’aberrazione dato che, quand’anche si ottenesse il pagamento dell’ammenda, ci sarebbe una perdita secca da parte dello stato.
Una azione di propaganda fine a sé stessa come tante. Mi conferma il sostituto procuratore di Pavia Mario Andrigo.
La giustizia italiana prevede sostanzialmente due tipi di pena, quella detentiva e quella pecuniaria. Chi fa le leggi spesso le fa pensando di cavalcare l’onda emotiva del momento, senza curarsi della praticabilità, al punto che una enorme parte delle pene pecuniarie comminate non vengono pagate e costano, perché le azioni di rivalsa (spesso del tutto inutile) devono essere istruite. Quindi questo reato si inserisce nel solco consolidato delle azioni penali dimostrative, mi verrebbe da dire.
E io basisco, vieppiù.
15 Ottobre 2013