Dick Cheney con la moglie Liz in una fotio postata su Twitter dopo il trapianto di cuore
Dick Cheney, il discusso vicepresidente degli Stati Uniti durante gli anni della presidenza di George W. Bush, ha scritto un libro. Non si tratta di memorie politiche (quelle lo aveva già pubblicate qualche anno fa), ma di un racconto dei suoi problemi di salute. Si intitola “Heart: An American Medical Odissey”, lo firma insieme al suo cardiologo Jonathan Reiner e sulla copertina spicca la linea di un elettrocardiogramma.
Così, colui che è stato considerato il più potente vicepresidente nella storia degli Stati Uniti, racconta senza pudori la sua odissea di precoce cardiopatico: il primo infarto a 37 anni, i successivi quattro attacchi di cuore, i ricoveri, gli interventi, fino al trapianto di cuore al quale si è sottoposto all’età di 71 anni.
A un certo punto del suoi 35 anni di odissea cardiologica Cheney era così convinto di essere vicino alla fine da aver dato le istruzioni per il suo funerale e per la successiva cremazione. Cheney confida anche che, durante un ricovero di 35 giorni in terapia intensiva, sognava di vivere in una villa in Italia.
Questo desiderio di raccontare i propri problemi di salute, ricoveri, operazioni, speranze e paure sta diventando un genere letterario.Come se la scrittura diventasse, se non una forma di terapia, almeno un modo per mettere ordine nei pensieri e nei ricordi, per dialogare con il mondo esterno, così lontano da un letto d’ospedale o da un reparto di terapia intensiva.
Il teologo e biblista Alberto Maggi ha raccontato le sue peripezie di malato (ricovero urgente e successive operazioni per problemi all’aorta) nel godibilissimo “Chi non muore si rivede”, pubblicato di recente da Garzanti. Quelle di Cheney e di Maggi sono storie a lieto fine. Altre volte, invece, i libri escono postumi. Come nel caso del giornalista Pietro Calabrese (L’albero dei mille anni) , del critico letterario Giorgio De Rienzo (Raccontami, nonno), del giornalista e scrittore Christopher Hitchens (Mortalità), tutti e tre uccisi dal cancro, consapevoli di essere condannati, eppure capaci di raccontare le fasi della malattia in modo lucido e a volte persino con humour. Lo stesso humour mostrato nelle scorse settimane da Romeo Bassoli, il giornalista divulgatore scientifico che sul suo profilo facebook ha raccontato fin quasi all’ultimo giorno la sua lotta con il cancro. Uno che due giorni prima di morire ha avuto la forza di scrivere queste parole: “vantaggi del post ‘morituri te salutant’: una bellissima quantità di persone scrive lettere d’addio spesso commoventi che altrimenti non vedrei mai”.