Con un coup de théâtre degno del David Copperfield più in forma e strabiliante, Berlusconi da “falco” si trasforma in “colomba” e in diretta TV dall’aula del senato, annuncia commosso (sic) che continuerà a sostenere il governo Letta: “Abbiamo ascoltato con attenzione le dichiarazioni del Premier. Abbiamo ascoltato i suoi impegni. Mettendo insieme tutte queste aspettative, il fatto che l’Italia ha bisogno di un governo e di riforme, abbiamo deciso non senza interno travaglio di esprimere un voto di fiducia”.
Un clamoroso dietrofront che ha lasciato tutti a bocca aperta, stupiti ed interdetti – compresi il premier Letta e il suo vice Alfano. Il cavaliere, che solo ieri aveva ribadito l’intenzione di non votare la fiducia, ha cambiato idea, di sicuro perché cosciente del fatto che all’interno del proprio partito tira una brutta aria: un Pdl sull’orlo di una scissione ormai più che certa. A conferma di ciò la lite di ieri sera a Ballarò tra l’on. Fabrizio Cicchitto e il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti con tanto di reciproci scambi di galanterie: “Vigliacco”, “Porti jella”, “Picchiatore”, “Pensi come Scilipoti”.
Questa mossa pertanto è da intendere come un ultimo tentativo di B. di impedire un esodo di pidiellini con la conseguente formazione di un nuovo soggetto politico indipendente. Una spaccatura che di certo non gioverebbe alle mire di “pacificazione”, del pregiudicato di Arcore, almeno per come la intende lui.
Ieri le dimissioni dei ministri del PDL, oggi le dichiarazioni di Formigoni che in mattinata aveva detto: “Siamo 35 ex Pdl e Gal voteremo sì a fiducia”; si prospettava in tal senso la nascita di una nuova compagine politica formata per l’appunto da un cospicuo numero di dissidenti del Pdl e dagli esponenti del gruppo Grandi Autonomie e Libertà”.
Berlusconi ancora una volta riesce a guadagnarsi tutte le attenzioni del caso facendo passare in secondo piano persino il voto di fiducia al governo delle larghe intese. Un maestro in comunicazione che riesce a capovolgere tutto e tutti, riposizionando su di sé i riflettori. Un colpo di coda (l’ultimo?) che nelle intenzioni dovrebbe dimostrare ancora una volta che a decidere la strategia da adottare nel centrodestra è sempre e solo lui. Non esistono e non devono esistere comprimari ma solo gregari, privati della libertà di agire autonomamente. Un partito-azienda all’interno del quale è il capo a dettare legge e non accetta alzate di testa da nessuno, nemmeno dal proprio amministratore delegato.
Un partito – mai come ora nel caos – che non riesce a congedare definitivamente il proprio fondatore, ponendo internamente fine al berlusconismo e dando i natali ad un centrodestra più europeo e democratico, nemmeno ora che è un pregiudicato. Un’Italia ancora una volta incapace di scrollarsi di dosso il proprio ventennale sequestratore, in una macabra e patologica sindrome di Stoccolma.
Con 235 voti a favore (due in più rispetto all’altra volta) e 70 contrari, il governo delle larghe intese incassa la fiducia e va avanti. Tanto tuonò che alla fine non piovve.
2 Ottobre 2013