’O pernacchioToglieteci tutto. Ma io dall’Italia non me ne vado

Arriva quando meno te l'aspetti: il colpo alle spalle, l'infamità, la cazzimmata più pura. E quando arriva, ovviamente, non sai come reagire. Non sai cosa dire, non sai cosa pensare. Ci rimani male...

Arriva quando meno te l’aspetti: il colpo alle spalle, l’infamità, la cazzimmata più pura. E quando arriva, ovviamente, non sai come reagire. Non sai cosa dire, non sai cosa pensare. Ci rimani male – malissimo – e cominci ad annaspare, peggio del sub che riemerge dopo ore di immersione. L’aria non sa di dolcezza, al contrario si insinua nei bronchi, nei polmoni, dentro alla tua gola con una forza ed una prorompenza che hanno dell’assurdo. Dell’indicibile. Italia: questo t’è successo. Ti sei svegliato chissà come, da chissà quale sogno, e ti sei ricordato di essere in Italia. Se poi all’equazione c’aggiungi che di tutta l’Italia sei nato proprio a Napoli, allora hai fatto bingo: peggio di così non ti poteva andare. E non perché Napoli sia il terzo mondo dello stivale; perché qui si sta peggio che altrove – si muore, quest’è vero; ma c’abbiamo una simpatia ed un modo di fare che sfido a trovare in qualsiasi altro paese. Fa ancora più male quando si nasce a Napoli perché qui il rapporto realtà/sogno è decisamente più difficile che nel resto dell’Universo (altro che mondo, altro che Italia o Europa).

Apri i giornali (o vai sui giornali, via internet) e leggi: chiude il Festival del Giornalismo Internazionale di Perugia. Continui, passi alla cronaca locale: emergenza all’ordine del giorno; monnezza e monnezzai, giovani, vecchi e bambini malati. Bus fermi, Italia che – a senitre il Governo – riemerge dalla crisi ma che, invece, a vedere i fatti, ciondola più confusa di prima. Qui c’è un problema, che è un problema di fondo, e che si chiama “mentalità chiusa”. Ce l’hanno le vecchie, vecchissime generazioni. Ma pure qualche giovane, assurdamente, ce l’ha. Sono quelli che hanno trovato nel compromesso, nella furberia dell’ultimo minuto, nell’ammicco, nel gesto politico e nell’accordo sopra ogni cosa – idee ed ideologie – la loro Terra Promessa. E noi, intanto, paghiamo. Paghiamo le tasse, paghiamo con la vita; paghiamo non sapendo più bene per che cosa lo facciamo. I servizi vanno male, scarseggiano. I festival, vanti internazionali, ce li chiudono; e pure sulle politiche, ambientali come economiche, non sappiamo che pesci pigliare.

Uno, il disfattista, direbbe: “andiamocene”. Io, fesso e italiano (e napoletano) convinto, dico: “rimaniamo”. Rimaniamo che se ce ne andiamo noi non resta più nessuno; e se non resta più nessuno la nave Italia, per usare infelicemente il paragone con la Concordia (trito e ritrito, e requisito fondamentale, a detta di Mentana, per essere “gonzi”), non affonda ma sprofonda. E dopo non basterà una cordata internazionale per riportarla sul pelo dell’acqua. L’Italia è casa nostra. E non sono i politici o, più in generale, chi comanda a definirla come bello o brutto paese. Siamo noi. Noi con le nostre azioni; noi con i nostri sogni e le nostre ostinazioni. Io, al Festival di Perugia, ci credo ancora. Io ad una Napoli pulita e disintossicata ci credo ancora. Per questo non mollo; per questo non me ne vado. Visionario, fesso e idealista: ditemele tutte, ma non me ne vado.

Twitter: @jan_novantuno

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